Leggere “I NOMI CHE DIAMO ALLE COSE” di Beatrice Masini,
edito da Bompiani, non era preventivato: si è infilato tra le ultime pagine di “MrsBridge” ed i nuovi propositi di lettura per il mese di giugno.
Ci siamo incontrati durante una delle mie ultime scorribande
in libreria, armata di una lista già infinita di titoli ed ho tentato di
resistergli ma la mia volontà davanti a certi ammiccamenti indecifrabili si
dissolve come fumo al vento. La decisione è stata veloce e mi sono affidata a
quel colpo di fulmine.
Quel giorno stesso abbiamo intrapreso la nostra relazione ed
il perché di quella improvvisa attrazione mi è subito parsa palese.
E’ la storia di Anna, impiegata nel mondo dell’editoria, che
per caso - ma forse non troppo - si ritrova del tutto inaspettatamente ad
ereditare una casa cantoniera posata sulle rive del Lago di Garda, portineria
di una tenuta ben più grande residenza di Iride Bandini, da poco scomparsa e
conosciuta anni prima, famosa scrittrice di storie per bambini ma nella vita
donna austera e scostante.
Anna conoscerà presto gli abitanti di quel luogo: un
capomastro, l’ex segretaria della Bandini, suo figlio Gregorio, uno sceicco che
sceicco non è, una coppia di contadini con due bambine. Ognuno di loro occupa
un spazio preciso in quel luogo che sembra riportare le persone che lo abitano
alla riscoperta di ciò che meglio sanno fare.
E così accadrà anche ad Anna: lei, l’estranea, che si è
catapultata dalla città in quel paese, senza troppo pensarci perché “adesso sa,
per averlo imparato, che spesso quando si desidera distrattamente qualcosa si
finisce per ottenerlo senza sapere che farsene, o prima di”.
Anna osserva, ascolta i segreti e le storie dei suoi nuovi
incontri; con il suo sguardo raccoglie e racconta, attribuendogli le giuste
parole, l’essenzialità di quella nuova vita e dei nuovi personaggi che la
popolano, ritornando poco a poco alle cose che contano ed ai gesti necessari
per prendersene cura; ristabilisce e si ricollega ad un ordine naturale della
vita senza più scadenze né alibi ma solo impegnata a viverla in una sequenza
naturale di attimi vissuti e non solo pensati che le donano cura e conforto. E
questo Anna potrà farlo perché ha un dono – già intravisto da Iride Bandini ai
tempi del loro primo incontro - quello di saper ascoltare.
“Mettersi in ascolto è come vagare in un’immensa biblioteca a
cielo aperto, e per forza ci vuole un tetto di niente, perché non ci sono
limiti, non si possono chiudere in una stanza o in un palazzo le storie delle
cose del mondo.”
Ciò che mi ha subito rapito di questo libro è stata proprio
lei: la parola, la parola che quando usata con rispetto diventa strumento
prezioso ed indispensabile per riconoscere e dare un nome alle cose,
quelle cose che ci fanno sentire vivi e presenti in ogni attimo della nostra
vita e delle quali è necessario prendersene cura con amore, così come sono,
senza interpretazioni, né buone né cattive, né belle né brutte ma semplicemente
nella loro pienezza
“Forse essere a casa è questo, non avere il bisogno e nemmeno
la pretesa di vedere tutto bello. Guardare le cose come sono, vederle intere,
senza offenderle.”
L’autrice usa un linguaggio che modella, come a togliere il
superfluo da una creazione che poco a poco emerge davanti agli occhi e tra le
mani di chi legge: le parole e la loro mescolanza diventano l’amalgama che
rendono materici e percepibili dai sensi una storia che si svolge tra presente
e flash back in un luogo che appare tanto reale quanto immerso in una
dimensione di favola. Perché le favole ci sono e ci sono anche i bambini, ma ai
bambini non si può mentire nemmeno quando gli si raccontano le favole: loro
sanno, riportano con la semplicità del loro esserci ad una realtà
primordiale, non superflua, dove la realtà fornisce gli strumenti per
alimentare la fantasia, e diventano lo specchio del bisogno degli adulti di
tornare ad una vita più semplice e possibile.
“Teniamoci caro l’impossibile che vogliamo più di ogni altra
cosa, quello che ci fa sopportare il possibile.”
Tutto è descritto con cura ed esattezza, mai banale; le
sfumature del cielo o le pieghe di un volto solcato da un emozione, tutto
fluisce sulle pagine attraverso lo sguardo dell’autrice che tramuta in parole
l’intensità dei paesaggi e dei sentimenti senza mai essere scontata, ma
sorprendente nel modulare suoni - quelli che emettiamo nel pronunciare il nome
delle cose - che diventano udibili non solo dalle orecchie ma da un vibrare in
concerto di tutti sensi.
Un libro che mi sento caldamente di consigliare a chi ha
voglia di riscoprire un linguaggio che crea e non solo descrive; per chi ha
voglia di spogliarsi di un po’ di fardelli e mettersi in ascolto di quelle
parole che ci parlano di verità.
Titolo: I nomi che diamo alle cose
Autore: Beatrice Masini
Edizioni: Bompiani
Anno di pubblicazione: 2016
Bella recensione! Ti ho appena scoperta!
RispondiEliminaSe ti va di passare da me mi farebbe molto piacere;)
Lostupendomondodeilibri.blogspot.it
Bella recensione! Ti ho appena scoperta!
RispondiEliminaSe ti va di passare da me mi farebbe molto piacere;)
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Ciao Nashira, grazie! E benvenuta! Passo volentieri a trovarti ;)
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