lunedì 20 giugno 2016

CENTO GIORNI DI FELICITA' di Fausto Brizzi


Se mancassero 100 giorni alla fine della nostra vita terrena, cosa faremmo?
Quello che in teoria dovremmo fare ogni giorno…vivere!
Ed è questo che tenta di fare Lucio Battistini, protagonista di “CENTO GIORNI DI FELICITA’” di Fausto Brizzi (Einaudi).
Lucio, un quarantenne mediamente soddisfatto della propria vita, la moglie Paola, i due figli Eva e Lorenzo, gli amici d’infanzia Umberto e Corrado; un lavoro che non lo entusiasma, una carriera da pallanuotista mancata, i soliti alti e bassi della vita di tutti i giorni che scorre inesorabile tra un morso ed un altro ad una ciambella per colazione. Fino a quando non bussa alla sua porta un amico inaspettato: l’amico Fritz, simpaticamente così soprannominato per sdrammatizzarne l’arrivo indesiderato. Una diagnosi irrevocabile, un tumore al fegato in stadio troppo avanzato e più o meno tre mesi di vita.
Inizia così per Lucio un conto alla rovescia che anziché alla morte sembra riportarlo alla vita.

“L’unico rimpianto è aver dovuto scoprire di morire per ricominciare a vivere.”

Il protagonista racconta in prima persona i suoi ultimi cento giorni di vita con un’ironia sorprendente e che non può che farlo sentire caro ma non commiserato. Perché lui ha fatto una scelta, la più definitiva e forse la prima consapevole di tutta la sua vita:  cercare di essere felice per il tempo che gli rimane, fare ciò che sa di non aver più tempo per fare. Lasciare un’eredità positiva alle persone a lui care: insegnare ai figli ad affrontare le loro paure, riconquistare la moglie tradita in un momento di cedimento, dimostrare ai suoi amici l’amore fraterno che li ha sempre uniti.


“CENTO GIORNI DI FELICITA’” è una storia che non suscita commiserazione né pena. Tutt’altro: è un inno alla vita ed alla sua pienezza, una pienezza che a volte già ci appartiene anche se difficilmente riconosciuta.
Un libro che apre la porta a tante domande, di quelle importanti e scomode, che sarebbe bene tenere vicine in ogni attimo di ogni giorno per ricordarci che ogni respiro è un dono ed un’occasione da non sprecare.
L’autore affronta con ironia - ma mai con superficialità - temi importanti, nodi che a volte non basta una vita per sciogliere ma che si può iniziare a fare da oggi, da questo momento con audacia coraggio e determinazione.

Un libro che è un monito per non dimenticare, per ricordare di condire la scivolosa vita di tutti i giorni con un pizzico di paura, non una paura immobilizzante ma quel tipo di paura che è un'emozione vitale: che mette all’erta, che acuisce i sensi e catalizza le azioni verso una direzione ben precisa. Un radar sempre puntato verso la ricerca di un benessere assolutamente personale ed unico, verso il quale tendere costantemente, e che ci aiuti a districare, cardare, separare e scegliere ciò che ci rende felici da ciò che è superfluo e che ci fa disperdere inutilmente energia.

“E’ un tormentone della mia nuova e breve vita, fare cose che non facevo da anni o che non avevo addirittura mai fatto. Finalmente un lato positivo.”

Fino ad un punto “zero” e ad un “dopo”, capolinea inevitabile al quale sappiamo di dover arrivare già nel momento stesso della nostra nascita. Ma non è tanto il “quando”, forse è il “come” possiamo e decidiamo di arrivare a quel punto: si spera senza rimpianti ma con l’emozione di un sorriso rivolto a ciò che è stato vissuto pienamente ogni giorno come un giorno speciale.

“Quanti sono i giorni che ricordate bene della vostra vita? 
Quelli speciali che potreste raccontare anche a tanti anni di distanza. 
E quanti sono invece quelli normali in cui non accade niente degno di nota e che scivolano via anonimi? (…) 
La domanda è: cosa rende un giorno speciale? E’ possibile organizzare a tavolino ventiquattr’ore talmente originali da guadagnarsi di diritto un posto nell’hit-parade dei momenti magici della tua vita?”

Titolo: Cento giorni di felicità
Autore: Fausto Brizzi
Editore: Einaudi
Anno di pubblicazione: 2013

venerdì 17 giugno 2016

La giusta via da solcare

Trovare la giusta via da solcare 
non è per niente un facile andare.
Anche se mi danno pillole e consigli
tutto ciò che c’è da imparare,
credo stia rinchiuso in un punto 
in mezzo ad i miei sopraccigli.

Che sia finzione o realtà 
ancora devo ben capirlo:
tutto questo al momento 
è solo un gran scompiglio.

Scrivo come se nessuno mi potesse udire, 
anche se la voce che lancio 
vorrebbe avere un certo ardire.
Per cui procedo nel mio volteggiare 
come se non avessi niente da fare.
Che poi alla fine forse è proprio così
in una sera come un’altra 
di questo venerdì.

Nonostante cerchi di negarlo, 
perché in fondo fa sempre bene farlo,
tutto quello che io sono
si racchiude semplicemente in un suono.

E se quel suono anche voi 
fate fatica a pronunciarlo,
non vi preoccupate, 
perché magari ci sarà qualcun altro
disposto ad ascoltarlo.


lunedì 13 giugno 2016

SEMBRAVA UNA FELICITA' di Jenny Offill


La prima cosa che mi viene da dire a mente ancora calda della lettura di “SEMBRAVA UNA FELICITA’” di Jenny Offill, edito da NN Editore,  è che l’autrice è stata geniale, coraggiosa ed assolutamente autentica: tutto questo nell’essere riuscita a trasformare la storia di una donna come tante in qualcosa di coinvolgente, intimo e con una carica esplosiva innescata pronta a detonare ad ogni paragrafo che compone questo suo secondo romanzo. Una miscela che ti fa divorare il libro tutto d’un fiato, riempiendo e togliendo in un’alternanza senza sosta di luci intermittenti che si accendono e si spengono tra i pensieri della protagonista.

Lei, la donna senza nome di “SEMBRAVA UNA FELICITA’”, è una di quelle donne che non avrebbe voluto sposarsi, sognava di diventare un “mostro d’arte”, di scrivere il suo secondo romanzo. Invece incontra un uomo: lui compone “paesaggi sonori”; lei che lo accompagna in giro per la città a registrare suoni. Si frequentano. Si sposano. La nascita della loro bambina e la fase della maternità: una nuova vita ed ancora inquietudine. L’abbandono definitivo della sue aspirazione di scrittrice ed il ritrovarsi a fare la “scrittrice fantasma” per un libro improbabile sulle missioni spaziali.
Il tradimento del marito con una donna più giovane. Il lasciarsi, la rabbia, la disillusione ed il senso di inadeguatezza. La contemplazione della possibilità di ricominciare, con lui, con il matrimonio, con la vita in generale.

“Il mio piano era non sposarmi mai. No, io volevo diventare un mostro d’arte. Le donne non diventano mai mostri d’arte, perché i veri mostri d’arte si preoccupano solo d’arte e mai di cose terrene.”


L’ennesima vicenda apparentemente banale che tra le dita della Offill ha preso invece una luce ed una consistenza innovativa ed inusuale, quasi rivoluzionaria direi. Abbandonata la struttura narrativa tradizionale, “SEMBRAVA UNA FELICITA’” procede per frammenti, spezzoni di pensieri che occupano poche righe e che tracciano il flusso dell’incedere mentale della donna; ne mappano le discese in picchiata verso vuoti di delusione e le lente risalite su per i tornanti della rinascita e del bisogno di ricominciare. Il tutto in una mescolanza mai casuale di annotazioni di pensieri, citazioni di scrittori e filosofi, frammenti di ricordi, dialoghi, di detti e non detti che creano una spirale discendente nell’intimità cerebrale della protagonista dove il suo essere viene svelato ma mai definito da parole che potrebbero risultare troppo limitanti.

La sua vita e le sue emozioni discordanti e contraddittorie, le sue immersioni e le sue risalite umorali vengono dipanate e svelate al ritmo del procedere di un drenaggio cerebrale riversato in istantanee di pensieri che compongono la narrazione.
Un equilibrio precario mantenuto in vita tra un senso di auto-ironia sdrammatizzante e tagliente, ed un ribollire emotivo interiore che non sembra mai riuscire a trovare una via d'uscita definitiva, una valvola dalla quale decomprimere tutto quel tumulto interiore se non sulla carta, tra le pagine del libro, tra gli spazi bianchi dei brevi periodi dove i pensieri defluiscono e poi di nuovo si immergono per cercare di tornare in superficie a respirare, a riprendere fiato e vita.

Lo sguardo è sempre rivolto verso l’interno per scavare, domandare, per cercare di districare quel nodo di ansie ed insicurezze; per cercare di alleviare quel senso di inadeguatezza che attanaglia la protagonista. Inadeguatezza come madre a confronto con tutte le altre madri super-organizzate e puntualissime; inadeguatezza come moglie, lei insicura, complicata, difficile a confronto con quel bravo-ragazzo di suo marito perfetto, preciso e che aggiusta sempre tutto senza mai lamentarsi.
Ma soprattutto inadeguatezza nel suo essere donna con tutto il suo carico di risentimento per le aspirazioni frustrate, i sogni mai realizzati ed abbandonati, per l’assolvimento del compito di madre e di moglie che a volte appare troppo ingestibile per la sua mente che corre veloce  all’impazzata tra il colore di un’emozione ed un’altra sempre a tinte troppo forti per essere gestite.

“Alcune donne lo fanno sembrare così facile, quel modo di scrollarsi l’ambizione di dosso come se fosse un cappotto costoso che non va più bene.”


Una scrittura che è essenziale e potente, levigata, raffinata, che compone tassello dopo tassello il mosaico dell’intimità personale e famigliare della protagonista, in una costante operazione quasi chirurgica diretta dalla Offill, di aggiunta e privazione, di vuoto e di pieno, di bianco e di nero, fino ad arrivare al nucleo della personale ricerca della felicità della protagonista che, inaspettatamente, dopo tanto cercare e domandarsi si manifesta come un pomeriggio di neve ed il mondo che appare di una bellezza sospesa. Una felicità precaria ma reale.
Assolutamente da leggere!

Titolo: Sembrava una felicità
Autore: Jenny Offill
Traduttore: Francesca Novajra
Editore: NNEditore
Anno di pubblicazione: 2015

venerdì 10 giugno 2016

Direzioni da declinare




Se non ci fossero più tragitti predigeriti 
ma solo linee e circonferenze
tracciate dalla casualità di salite e pendenze.

L'incedere del nostro procedere 
sarebbe forse più sorprendente
in una vita ancora tutta da declinare
senza limiti né scadenze?

lunedì 6 giugno 2016

I NOMI CHE DIAMO ALLE COSE di Beatrice Masini


Leggere “I NOMI CHE DIAMO ALLE COSE” di Beatrice Masini, edito da Bompiani, non era preventivato: si è infilato tra le ultime pagine di “MrsBridge” ed i nuovi propositi di lettura per il mese di giugno.
Ci siamo incontrati durante una delle mie ultime scorribande in libreria, armata di una lista già infinita di titoli ed ho tentato di resistergli ma la mia volontà davanti a certi ammiccamenti indecifrabili si dissolve come fumo al vento. La decisione è stata veloce e mi sono affidata a quel colpo di fulmine.
Quel giorno stesso abbiamo intrapreso la nostra relazione ed il perché di quella improvvisa attrazione mi è subito parsa palese.

E’ la storia di Anna, impiegata nel mondo dell’editoria, che per caso - ma forse non troppo - si ritrova del tutto inaspettatamente ad ereditare una casa cantoniera posata sulle rive del Lago di Garda, portineria di una tenuta ben più grande residenza di Iride Bandini, da poco scomparsa e conosciuta anni prima, famosa scrittrice di storie per bambini ma nella vita donna austera e scostante.
Anna conoscerà presto gli abitanti di quel luogo: un capomastro, l’ex segretaria della Bandini, suo figlio Gregorio, uno sceicco che sceicco non è, una coppia di contadini con due bambine. Ognuno di loro occupa un spazio preciso in quel luogo che sembra riportare le persone che lo abitano alla riscoperta di ciò che meglio sanno fare.
E così accadrà anche ad Anna: lei, l’estranea, che si è catapultata dalla città in quel paese, senza troppo pensarci perché “adesso sa, per averlo imparato, che spesso quando si desidera distrattamente qualcosa si finisce per ottenerlo senza sapere che farsene, o prima di”.


Anna osserva, ascolta i segreti e le storie dei suoi nuovi incontri; con il suo sguardo raccoglie e racconta, attribuendogli le giuste parole, l’essenzialità di quella nuova vita e dei nuovi personaggi che la popolano, ritornando poco a poco alle cose che contano ed ai gesti necessari per prendersene cura; ristabilisce e si ricollega ad un ordine naturale della vita senza più scadenze né alibi ma solo impegnata a viverla in una sequenza naturale di attimi vissuti e non solo pensati che le donano cura e conforto. E questo Anna potrà farlo perché ha un dono – già intravisto da Iride Bandini ai tempi del loro primo incontro - quello di saper ascoltare.

“Mettersi in ascolto è come vagare in un’immensa biblioteca a cielo aperto, e per forza ci vuole un tetto di niente, perché non ci sono limiti, non si possono chiudere in una stanza o in un palazzo le storie delle cose del mondo.”


Ciò che mi ha subito rapito di questo libro è stata proprio lei: la parola, la parola che quando usata con rispetto diventa strumento prezioso ed indispensabile per riconoscere e dare un nome alle cose, quelle cose che ci fanno sentire vivi e presenti in ogni attimo della nostra vita e delle quali è necessario prendersene cura con amore, così come sono, senza interpretazioni, né buone né cattive, né belle né brutte ma semplicemente nella loro pienezza

“Forse essere a casa è questo, non avere il bisogno e nemmeno la pretesa di vedere tutto bello. Guardare le cose come sono, vederle intere, senza offenderle.”

L’autrice usa un linguaggio che modella, come a togliere il superfluo da una creazione che poco a poco emerge davanti agli occhi e tra le mani di chi legge: le parole e la loro mescolanza diventano l’amalgama che rendono materici e percepibili dai sensi una storia che si svolge tra presente e flash back in un luogo che appare tanto reale quanto immerso in una dimensione di favola. Perché le favole ci sono e ci sono anche i bambini, ma ai bambini non si può mentire nemmeno quando gli si raccontano le favole: loro sanno, riportano con la semplicità del loro esserci ad una realtà primordiale, non superflua, dove la realtà fornisce gli strumenti per alimentare la fantasia, e diventano lo specchio del bisogno degli adulti di tornare ad una vita più semplice e possibile.

“Teniamoci caro l’impossibile che vogliamo più di ogni altra cosa, quello che ci fa sopportare il possibile.”

Tutto è descritto con cura ed esattezza, mai banale; le sfumature del cielo o le pieghe di un volto solcato da un emozione, tutto fluisce sulle pagine attraverso lo sguardo dell’autrice che tramuta in parole l’intensità dei paesaggi e dei sentimenti senza mai essere scontata, ma sorprendente nel modulare suoni - quelli che emettiamo nel pronunciare il nome delle cose - che diventano udibili non solo dalle orecchie ma da un vibrare in concerto di tutti sensi.


Un libro che mi sento caldamente di consigliare a chi ha voglia di riscoprire un linguaggio che crea e non solo descrive; per chi ha voglia di spogliarsi di un po’ di fardelli e mettersi in ascolto di quelle parole che ci parlano di verità. 

Titolo: I nomi che diamo alle cose
Autore: Beatrice Masini
Edizioni: Bompiani
Anno di pubblicazione: 2016

mercoledì 1 giugno 2016

A giugno si legge di Felicità!

Nuovo mese, nuovi propositi di lettura!
Un po’ per gioco, un po’ perché mi conosco e so che la mia svogliatezza - soprattutto in questo periodo dell’anno - mi fa perdere fra le traiettorie di nuvole passeggere e voli di rondini, a maggio ho provato a darmi un piccolo obiettivo di lettura: decidere 3 titoli da leggere nell’arco del mese che avessero una sorta di filo comune. 
L’esperimento è riuscito nonostante la mia perenne sonnolenza primaverile e così ho deciso di riprovarci anche a giugno – e spero anche per i mesi futuri - con nuove storie ed un nuovo denominatore comune che ovviamente cambia a seconda del mio umore altalenante, condizioni atmosferiche e mille altre deviazioni di fantasia e non.  

Per il mese di maggio la scelta era caduta su storie che avessero come protagoniste figure di donne: un po’ per caso, perché erano libri ai quali facevo il filo già da un po’ e poi perché maggio è il mese in cui si festeggia la mamma che istintivamente ricollego a tutte le donne, che siano realmente madri con pargoletti al seguito o semplicemente creatrici ogni giorno della propria di vita.
Donne molto diverse tra loro per storia personale e contesto storico eppure così simili tra le pieghe delle loro anime dove si incastrano quelle domande tanto difficili da risolvere e che portano a scavare e scavare alla ricerca di un senso di esistenza più pieno ed appagante.
Queste sono state le protagoniste in ordine di apparizione:
- Laure con la sua borsa perduta in “La donna dal taccuino rosso” di Antoine Laurain (Einaudi);
- Noga, arpista israeliana, protagonista in “La comparsa” di Abraham B. Yehoshua (Einaudi);
- India Bridge, impeccabile nelle sue buone maniere di un tempo lontano, in “Mrs Bridge”di Evan S. Connell (Einaudi).


Questo mese il filo conduttore cambia. La parola d’ordine che accomuna i titoli scelti è: Felicità!
Argomentone non semplice, con un vasto, vastissimo raggio d’azione e di letteratura. Così per semplificarmi la vita e la scelta, il criterio di selezione, lo ammetto, è stato alquanto banale: tutti libri che contenessero nel titolo la parola “felicità”.
E così i prescelti per questo mese di giugno sono:
“Sembrava una felicità” di Jenny Offill (NN Editore);
“Cento giorni di felicità” di Fausto Brizzi (Einaudi);
“Una specie di felicità” di Francesco Carofiglio (Edizioni Piemme)


Ovviamente questo giochino, che di sicuro farà rabbrividire chi i libri da leggere li seleziona accuratamente con cognizione di causa e competenza della quale al momento me ne sento priva, è aperto alla partecipazione di tutti quelli che, come me, amano leggere ma si perdono un po’ nelle strade intricate delle buone intenzioni ed ogni tanto hanno bisogno di un dolcetto come ricompensa che l’attenda al traguardo della fine lettura (più altri svariati in corso d’opera!).
Non essendo molto pratica nella preparazione di dolci, vi preannuncio che è meglio non sia io a preparare la vostra ricompensa che in ogni caso, in mancanza di pasticceri e gelatai esperti, sarà il gusto ed il piacere di aver letto un buon libro e l’aver mantenuto fede al proprio proposito.

Per cui se vi va di partecipare perchè anche voi vi sentite un pò lettori "sfogliati" come le pagine di un libro dal vento delle distrazioni che soffia impietoso e quotidiano, l'idea sarebbe quella di creare un piccolo convivio all’interno del quale scambiarci qualche incoraggiamento e pacca sulla spalla ai primi segnali di cedimento e rallentamenti sulla tabella di marcia ma soprattutto la bellezza e spunti creativi che questi libri sapranno offrire.
Comunque non temete perché nel caso infausto mi lasciaste da sola anche per questo mese, non mancherò di tenervi aggiornati soprattutto del numero di dolci-ricompense che mi sarò concessa in corso di lettura. Se invece risponderete con entusiasmo a questa chiamata alla lettura, sappiate che siete i benvenuti e non esitate a scrivermi o contattarmi per aggiornarmi.

A presto e buon inizio di giugno a tutti!

Chiara