giovedì 28 aprile 2016

PER DIECI MINUTI di Chiara Gamberale



La protagonista di “PER DIECI MINUTI” è Chiara; Chiara sono io e Chiara è l’autrice. La prima è una scrittrice, io non lo sono – e di questo ne sono certa! – la terza è l’autrice e di certo è un’ottima giovane scrittrice. Pubblicato nel 2013 da Feltrinelli, l’ho letto d’un fiato durante uno degli ultimi week end piovosi e leggerlo è stata letteralmente un’esplosione di vitali scintille colorate.

“Le va di fare un gioco?”.
“Per un mese a partire da subito, per dieci minuti al giorno, faccia una cosa che non ha mai fatto.”

E’ la dottoressa T., l’analista di Chiara, a suggerirle questa sferzata di novità in una vita apparentemente senza più significato, fatta a pezzi dall’abbandono del marito, dalla chiusura della rubrica per cui scriveva, dal doversi abituare ad una nuova casa in una città che non sente famigliare. Tutti perni intorno ai quali far ruotare la propria vita, tutti punti d’appoggio con la lettera maiuscola: Mio Marito, la Mia Rubrica, la Mia Casa.
Ma basta un attimo – anzi, forse bastano dieci minuti al giorno – per rendersi conto che gli schemi emotivi e mentali che ci fanno sentire protetti, che definiscono i confini delle bolle in cui viviamo sottovuoto, non sono altro che limiti. Limiti a volte tracciati da persone che a modo loro ci amano: come il marito di Chiara che la vede ancora come quella diciottenne dalle lunghe trecce conosciuta all’ultimo anno del liceo, spaventata e bisognosa di lui per affrontare la vita; come la madre di Chiara che a colpi di zucchine e melanzane grigliate l’ha sempre protetta da quelli che secondo lei erano i veri colpi della vita al di fuori di quell’angolo di orto nella loro casa di campagna a Vicarello alle porte di Roma. Limiti all’interno dei quali ci piace scivolare dentro, protetti da un’abitudine routinaria che crea dipendenza e torpore finché un bel giorno la bolla esplode perché nostro marito ci lascia o perché rimaniamo senza lavoro o lontani dalla casa nella quale siamo cresciuti; ed allora quei limiti appaiono per ciò che sono, semplicemente occasioni mancate travestite da protezioni.

“Quando fanno qualcosa per noi, gli altri ci consegnano o in realtà ci tolgono un’occasione?”

Ma la possibilità che Chiara si concede di vivere quei dieci minuti, scatenano un effetto domino inaspettato, ”come se accendessero una qualche corrente”, come se trasmettessero a quello che viene dopo una specie di possibilità. Quei dieci minuti la conducono come le briciole lasciate da Pollicino, a riscoprire ritmi e volti inediti, passando dal farsi laccare le unghie di un colore improbabile, al camminare all’indietro per le strade di Roma, dal cucina pancake, al ballare l’hip hop. A percorrere tragitti alternativi, fino ad arrivare ad un luogo sconosciuto…alla sua persona, al riconoscersi viva anche senza quel marito, quella rubrica, quel paese dove è cresciuta, a riappropriarsi del suo tempo e delle sue scelte. A rendersi conto della propria esistenza e di quella degli altri, ad aprire gli occhi non solo per guardare ma per vedere i luoghi di quella città giudicata tanto ostile e che ora si anima di persone non più invisibili ma fatalmente umane ed uniche ognuna nella propria esistenza.

“Evidentemente i posti, proprio come le persone, si accendono e rivelano di essere al mondo non solo perché c’è spazio, ma perché hanno un senso, solo quando siamo disponibili a capirlo.”

Quella manciata di minuti soffia un’aria nuova nella vita di Chiara, le dona sorrisi inspiegabili, la porta minuto dopo minuto a compiere azioni sempre più sorprendenti e ad affondare le mani nella terra così come nella propria vita, ad avere fiducia nelle possibilità che portano le scelte ancora da compiere, ad avere più aderenza con la vita reale, quella scandita da un tempo che non è più qualcosa di ostinatamente vuoto ma che diventa una possibilità per tornare a vivere.
Perché forse i sogni, quelli grandi, quelli che pensiamo che se saremo coraggiosi abbastanza da provare a realizzarli ci cambieranno la vita, stanno proprio dietro a quei brevi e stupefacenti dieci minuti; perché forse quei improbabili dieci minuti sono proprio la chiave d’accesso alla vita, a quella famigerata vita che vorremmo e che ci aspetta se solo ci concedessimo l’opportunità di spolverare le lenti degli abitudinari “dovrei”, “potrei”, “mi piacerebbe ma non posso”…o forse semplicemente non voglio!

“Perché nelle infinite semplificazioni con cui crediamo di metterci in salvo e dentro cui invece ci perdiamo, c’è una cosa, una soltanto, che non può venirci dietro, che non possiamo ingannare.
Questa cosa è il tempo.
Che qualcosa di pochissimo, se siamo felici.
E’ qualcosa di tantissimo, se siamo disperati.
Comunque sta lì.
Con una lunga, estenuante, miracolosa serie di dieci minuti a disposizione.”

Un diario di bordo, asciutto nel dipanarsi delle sue tappe lungo un mese di tempo; una navigazione negli incontri della vita di tutti i giorni che nella sua naturalezza e spontaneità fa sorridere e ci rende partecipi di quei dieci minuti di Chiara, che infondo sono un po’ i dieci minuti di tutti, nella speranza di planare verso una fase della vita sempre più vitale e giocosa, verso una fase della vita in cui riscoprire il coraggio di stupirsi delle piccole cose; che la vita può cambiare anche in meglio, che dietro ad ogni incontro e ad ogni porta che si apre c’è una bellezza ancora tutta da scoprire.

Vi auguro una buona giornata e intanto – se potete – prendetevi dieci minuti! 

Titolo: Per dieci minuti
Autore: Chiara Gamberale
Edizioni: Feltrinelli
Anno di pubblicazione: 2013

lunedì 25 aprile 2016

Pezzetti di storia



"Forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi, forse domani morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le cose che farò prima di morire e la mia morte stessa saranno pezzetti di storia, e tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla mia storia di domani, sulla storia di domani del genere umano. "

Il sentiero dei nidi di ragno - Italo Calvino

domenica 24 aprile 2016

La Parola




Forse sarebbe stato meglio se questo post l’avessi scritto ieri, visto che era la Giornata Mondiale del Libro e da brava padrona di casa di un blog che parla soprattutto di libri, avrei potuto ribadirvi il concetto di quanto li ami - cosa che peraltro ho già fatto qui
Il tutto magari decorato da belle immagini di disposizioni casuali quanto improbabili di pile di volumi modulati per colore o per autore o ancora per dimensione. E questo a dimostrazione di quanto legga, di quanti libri ho letto e di quanti ancora ne ho da leggere (cosa assolutamente vera ed in qualche modo spaventosa).
Ma qualcosa mi si era incagliato sulla punta della lingua impedendomi di dare forma a queste parole. Perché sì, per me è proprio solo e semplicemente una questione di parole ed i libri stanno alle parole come le parole stanno alle intenzioni di chi le pronuncia.
Credo si riassuma in questa semplice equazione il senso di ciò che avrei voluto scrivere ieri e che provo a fare oggi, non convinta comunque del risultato. Perché le parole con me fanno spesso le burlone: mi stuzzicano e mi solleticano la fantasia nei momenti più inopportuni e poi scivolano via come sabbia tra le dita, privandomi di quella parvenza di serietà della quale tanto gradirei agghindarmi.

Per cui ciò che posso asserire
senza nulla togliere al mio sentire
è che la parola esalta, amplifica ed enfatizza;
ma può anche fratturare, ferire e si spera ricucire.
La parola è via di fuga o vicolo cieco;
può lasciarsi assaporare o impastarci senza spreco.
La parola è fluttuo che lambisce
ma può diventare corrente che rapisce.
Può vibrare e risuonare,
stuzzicare o anche rimbalzare
e se detta con il giusto ardire
può aprire la strada al nostro vero sentire.
La parola è un mezzo potente
ma può ridursi ad un niente
se pronunciata in modo assente.
Per questo mi auguro
che sia sempre dosata e rispettata
con molto amore soprattutto verso chi è indirizzata.

Felice domenica di bei libri e buone parole!
Chiara


mercoledì 20 aprile 2016

Voce del verbo LEGGERE


Voce del verbo LEGGERE

“Riconoscere ed interpretare segni della scrittura
con i quali è composto un testo”
questo spesso è l’inizio di una nuova avventura
che sia solo per un momento o prolungata nel tempo,
è un ritmo soggettivo che chiede rispetto 
ed uno spazio all’interno del quale mettersi al suo cospetto.

Ci può essere ordine o disordine negli attimi di concentrazione
ma non è mai per caso che ci si accinge a questa operazione.
Storie sconosciute ed in fase di costruzione,
ciò che ci si presta a scoprire
 è sempre un mondo in divenire.

Perché che siano solo parole o illustrazioni di ineguale splendore,
lo scenario che ci prende per mano
è capace di condurci lontano.
Scorrono veloci o pesanti come macigni,
la grafia di quei mondi
sono gli specchi dei nostri nascondigli.
Ma una volta intrapreso il viaggio di una nuova lettura
è improbabile il ritorno a casa con la medesima disinvoltura.
Perché la parola aggiunge, sottrae e definisce,
e ciò che in noi trova un posto
diventa sempre un piccolo tesoro ben riposto.




lunedì 18 aprile 2016

VIANDANZA di Luigi Nacci



Viandanza è un libro non solo per chi ama camminare ma anche per chi fa della propria vita un cammino. 
Esiste un cammino fatto di passi, di azioni ben definite che ci permettono nella loro consequenzialità di procedere lungo la via. Ma esiste anche tutto quello che si muove insieme a noi mentre compiamo l’azione dell’avanzare, meno visibile ma forse più faticoso da portarsi addosso: emozioni, sentimenti, illusioni, voglia di cambiamento; la speranza di una vita migliore, il desiderio di trovare un senso profondo al nostro procedere…insomma, tutta la nostra umanità! Nella fatica del viaggio emergono con tutta la loro forza i sentimenti più profondi: paura, stupore, spaesamento, nostalgia, disillusione, arroganza ma anche allegria ed umiltà.
Luigi Nacci racconta di tutto quello che si può portare in uno zaino quando si decide di mettersi in partenza. Poco, molto poco! Perché ciò che veramente serve per trovare le risposte a quelle domande che l’uomo cerca dall’origine della sua memoria, sono già scritte in ogni passo, in ogni incontro, in ogni porta che si apre per offrire riparo lungo quelle due strade che da secoli sono le vie più percorse dai pellegrini di tutta Europa: la via per Santiago e la via Francigena.


Ma non occorre essere pellegrini per mettersi in cammino, sul cammino lo si è già. Basta avere l’intenzione di riconoscerlo il cammino, di mettersi in spalla quello zaino che altro non è se non la nostra casa, a volte fardello inessenziale che preme sulla nostra vita, a volte ciò da cui fuggiamo, a volte zavorra insopportabile ma che se abbiamo il coraggio di guardare e riconoscere nella sua vera consistenza diventerà lo specchio del dissiparsi delle nostre illusioni. Ad ogni passo quello zaino si alleggerisce, ad ogni partenza ci interroga su ciò che è veramente essenziale e necessario per quel nuovo viaggio, ad ogni inciampo ci fa inginocchiare ricordandoci che sotto il peso della fatica del nostro procedere, siamo tutti alla stessa altezza ed abbiamo sempre la possibilità di guardarci occhi negli occhi.
Viandanza è un invito: un invito a diventare tutti un pò viandanti che non significa necessariamente compiere centinaia di chilometri a piedi ma semplicemente andare per la via e lasciarsi attraversare da essa. Lasciarsi sorprendere dalle possibilità inaspettate che si celano dietro ad ogni curva; dallo stupore del tempo presente; dalla possibilità di cambiare forma e con essa anche la propria vita perché “Quando si è stati pellegrini, viandanti, forestieri, clandestini o nomadi una volta, lo si è per sempre. Non possiamo tornare alle nostre vite ordinarie e sprangarci in casa. Possiamo farlo per un po’, ma poi, se continuassimo, impazziremmo. Perché se tenessimo le porte chiuse, rinnegheremmo la polvere e il fango in cui abbiamo sognato ad occhi aperti. E non c’è niente di peggio che tradire un sogno.”
Una scrittura poetica che sussurra - all’orecchio di chi legge - risposte che bruciano sotto ai piedi; che suscita pensieri che generano il desiderio, quel genere di desiderio che è la spinta a superare i propri limiti, a ritrovare la semplicità dei gesti, la pienezza dei silenzi, la condivisione del poco; a ritrovare la speranza dell’avvenire che viene incontro, la nostalgia per l’ignoto, la fragilità nella forza, l’intensità, il dolore, la speranza che apre la strada, la meta che non è la meta.
Consigliato a chi ha voglia di ricordare ciò che è stato e di scoprire ciò che potrà essere; a chi ha voglia di diventare un sognatore-diurno e plasmare la visione del proprio cambiamento; a chi non ha paura della fatica e a chi ha voglia di uscire dalla propria vita ordinaria e rientrarvi con i piedi leggeri della libertà.

Titolo: Viandanza – Il cammino come educazione sentimentale
Autore: Luigi Nacci
Edizioni: Laterza
Anno di pubblicazione: 2016


giovedì 14 aprile 2016

Che cos'è OpenBook



Ammetto di essere una maestra nello stilare liste di ogni genere: oltre a quella della spesa, ho sempre con me quella in costante aggiornamento dei libri da leggere, delle città che vorrei visitare, corsi che vorrei frequentare, pazzie di vario genere nelle quali prima o poi mi cimenterò! 
Mi piace particolarmente quella dei buoni propositi per l’anno nuovo: siamo a metà aprile, direte voi! Beh, certo, ma c’è uno di quei buoni propositi che ho espresso alla fine del 2015 che in qualche modo mi ha fatto arrivare fin qui.
Di per sé era una cosa molto semplice: riuscire a leggere nel 2016 almeno un libro al mese.
Amo i libri, da sempre. Negli ultimi anni la passione per la lettura si era un po’ impolverata causa l’incalzare della vita con i suoi mille impegni e doveri. Ma la voglia di rinfilare il naso tra gli scaffali della mia libreria e perdermi tra le pagine di nuove letture alla fine dell’anno scorso ha bussato alla mia porta con più insistenza del solito e si è materializzata nel buon proposito di cui vi dicevo.
Per me leggere è sempre stato un atto solitario: mi piace farlo con i miei tempi, senza intrusioni ne disturbi di vario genere. Questi purtroppo sono sempre presenti e così mi sono chiesta come poter mantenere quell’intenzione senza lasciarmi distrarre e deviare in corso d’opera.
Ed è così che è nato OpenBook. Che cos’è OpenBook vi chiederete voi?!
OpenBook non è altro che un gruppo di lettura, un incontro aperto a tutti, a cadenza mensile per appassionati delle pagine scritte o semplicemente curiosi. E’ un convivio nel quale la portata principale è un libro: lo si legge in solitudine sul tram, al bar o comodi sul proprio divano e poi lo si commenta in gruppo alimentando l’alchimia della condivisione e del sano confronto.
Non è necessario essere intraprendenti oratori o tesserati frequentatori di salotti intellettuali: l’unica cosa da portare è la voglia di partecipare - anche silenziosamente – ed una rispettosa attitudine all’ascolto delle opinioni altrui contemplando anche la possibilità che questo possa farvi cambiare radicate convinzioni.
Gli incontri sono aperti: si può partecipare a tutti, ad alcuni soltanto, una volta sola e poi tornare quando si vuole. Mi piace pensare ad OpenBook come ad un’occasione sempre ridefinita in corso d’opera dai partecipanti; di scoperta di nuove storie e riscoperta di quelle già conosciute ma rispolverate e riviste attraverso la lente di nuovi obiettivi, e dal quale ci si può congedare con l’aggiunta di qualche grado in più al grandangolo della propria visuale, con una virata improvvisa dalla consueta rotta delle proprie idee e magari anche con qualche amico in più.
Dove? A casa mia! Sì sì, proprio a casa mia nella mia città, Rimini.
Il prossimo incontro sarà SABATO 7 MAGGIO ed il protagonista prescelto del quale parleremo sarà “DOMANI NELLA BATTAGLIA PENSA A ME” di Javier Marias (Einaudi).

Se volete partecipare o chiedere qualche informazione in più scrivetemi a chiaraeffeintheword@gmail.com oppure sbirciate nella pagina FB che trovate qui.

lunedì 11 aprile 2016

Viandante


"Volevi essere lo straniero, l'ebreo errante, il bohémien, il vagabondo, l'anacoreta, il beat, il cavaliere errante, il transumante, l'uccello migratore, il goliardo, il figlio di Dioniso, il chierico vagante, l'emblema della devianza, il ribelle, il transeunte, l'uomo in rivolta, il pellegrino, il viandante, il clandestino.
Volevi essere sul serio una figura marginale e libera. I quell'esilio dalla vita precedente, in quell'esodo da te, c'era una saggezza verso cui tendere.
Ti sentivi fragile e potentissimo."

Viandanza - Luigi Nacci

venerdì 8 aprile 2016

Andar cercando


Dar vita a questo blog è stata una piccola partenza. 
Sono sempre stata brava con le partenze, molto meno ad arrivare a destinazione. 
Mi entusiasmano i nuovi inizi, prendo entusiastiche rincorse neanche mi dovessi lanciare col deltaplano; preparo minuziosamente i grandi zaini dei miei progetti, mi metto in cammino e poi mi perdo sulle lunghe distanze. 
Mi distraggo, mi stanco facilmente: non è tanto una stanchezza fisica, è più una stanchezza mentale che mi coglie all’improvviso; devio strada attratta da nuovi bagliori in lontananza, lascio un sentiero per intraprenderne un altro e poi perdo di vista le briciole che Pollicino ha lasciato sul mio cammino e non riesco più a tornare indietro. 
Forse è solo questione di disciplina o forse quella strada non è la mia storia. O magari è un’altra scusa che si mette in coda al treno delle mille scuse che mi sfreccia davanti e non si ferma mai!
Per questo mi piace leggere di libri che raccontano di viaggi: mi metto in partenza senza lo stress da valigia - che alla fine mi dimentico sempre qualcosa! – mi sento in cammino senza camminare, scorgo nuovi paesaggi tra le righe, forse trovo qualche risposta alle mille domande. 
Che siano – quelli di cui leggo -  percorsi reali o di fantasia, grazie a loro traccio traiettorie degne di instancabili uccelli migratori e mi poso su scogli inesplorati che scaldano il mio bisogno di sentirmi a casa. Perché si dice che la casa è dove sta il Cuore ma a me le frasi fatte non piacciono e le pillole di saggezza pronto intervento per una “felice” vita preconfezionata non riesco ad ingoiarle ed anche se ci provo mi rimangono un po’ indigeste. Per cui continuo a cercare e a solcare nuovi percorsi – magari mi avvito un po’ su me stessa – ma i libri sono sempre il miglio antidoto alla mia troppo poco esaudita voglia di andare.
Fatto sta che durante la mia ultima incursione in libreria ce n’è stato uno di questi libri con cui ho fatto il viaggio di ritorno verso casa.
Questa volta è stato il titolo a rapire la mia attenzione: “Viandanza”. L’ho trovata una parola meravigliosa, di un suono arioso, che solo a pronunciarla mi sembrava già di essere partita.  

Neanche farlo apposta, domani parto per un week end in Toscana e credo proprio che lui sarà il compagno di viaggio perfetto!

Viandanza - Luigi Nacci
Vi auguro un buon week end...di bei viaggi e buone letture.

giovedì 7 aprile 2016

Tra testa e piedi c'è di mezzo il Cuore


In un giorno dove la nebbia atmosferica rispecchia la mia nebbia emotiva, assisto ad un amichevole colloquio tra testa e piedi…miei, ovviamente!

La testa dice ai piedi:
“Una direzione iniziate a cercare,
se vi fermate proprio ora non la potremo scovare.
E’ inutile rimandare ed anche tergiversare
avvitarvi su voi stessi non potrà far altro che farci fermare.
Andate, uno davanti all’altro.
E’ solo così che la strada la potremo trovare.”

Ed allora i piedi rispondono alla testa:
“Cara mia, tu hai perfettamente ragione
ma gli ostacoli al nostro andare
sono solo il frutto di un tuo troppo procrastinare.
Abbi fede ed un pò meno mattoni.
Nel blocco dei tuoi pensieri,
non c‘è vita,
se non quella che hai vissuto ieri.
Per cui non è a noi
che le favole devi raccontare
se una nuova strada vuoi imboccare.”

Ribatte la testa:
“Brutti insolenti fannulloni.
Chi sta al vertice voi dovete rispettare.
Senza di me una direzione non potreste mai trovare.
Per cui zitti e procedete,
che sia a destra o a sinistra,
basta che tacete!”

Ed ancora scalpitano i piedi:
“Noi tacciamo e procediamo.
Ma non saremo noi a tenderti una mano
se un giorno ti renderai conto
che stai solo girando in tondo.
Ed allora sentirai nel tuo profondo
che gli ostacoli al tuo avanzare
sono solo il frutto della tua paura di riuscire ad arrivare.
A volte ciò che trovi è troppo bello da poter sopportare,
per cui fermarsi è la cosa più facile da fare.”

A questo punto interviene chi sta nel mezzo:
“Basta ombre e basta paure,
ma solo colori e sfumature.
Un giorno questi vuoti
voi riempirete,
se avrete il coraggio di colmare la vostra seta.
Io sto nel mezzo ed ho orecchie per udire.
Che sia in alto o che sia in basso
ciò che sento è solo sconquasso.
Basta agitazione,
è ora di prendere una direzione!
E se di voi non vi riuscite a fidare,
tendete i vostri sensi che il battito del cuore vi saprà sempre guidare!”

Questi piedi chiaccheroni sono i miei!




mercoledì 6 aprile 2016

LO SPAZIO BIANCO di Valeria Parrella



Ho iniziato a leggere “Lo spazio bianco” di Valeria Parrella una domenica mattina, in cerca di una lettura che si potesse esaurire nel giro di un week end. Mi sono trovata avvolta in uno spazio di attesa senza tempo che, una volta terminato il libro, mi ha chiesto di essere riassorbito con cautela. 
“Lo spazio bianco” è un libro denso, come venire immersi nuovamente in quel liquido primordiale da dove tutti siamo partiti.
La voce narrante è quella di Maria, quarantaduenne, insegnante alle scuole serali di Napoli; figlia di operaio negli anni Settanta, appartenente a quella generazione di scarto intellettuale che - a suo dire - le conferivano una certa arroganza perché sarebbe stata la prima della sua famiglia a non lavorare in fabbrica; con una madre che non si chiedeva il “come” delle cose fintanto che avesse avuto un marito al suo fianco ad accompagnarla, il cui mondo precipita in un televisore una volta rimasta vedova.
Maria è in cinta del frutto di un amore distratto con un uomo senza codice di responsabilità, con il quale l’unione era stata solo il pretesto per rispecchiare le reciproche solitudini.
All’improvviso un dolore rotondo e forte la precipita nella sala d’aspetto di un ospedale, dove partorirà prematuramente Irene. Da quel momento il tempo si biforca.
C’è un tempo sospeso dell’attesa dove nessuno, neppure i medici, possono dare a Maria le risposte che vorrebbe sentirsi dare. Lei abituata da sempre a trovare negli accadimenti della vita un nesso causa – effetto che la rassicuri con risposte certe e che non lasci spazio al dubbio ed ai tentennamenti. Vive affacciata all’oblò dell’incubatrice dov’è tenuta Irene, una figlia dal volto ancora troppo piccolo per intuirne i lineamenti, con mani troppo piccole per stringere anche la falange più piccola della mano della madre.
E’ un tempo all’interno del quale la speranza convive con il pensiero della morte, a volte con il desiderio di essa per porre fine all’incertezza; un tempo scandito dalle entrate ed uscite dall’ospedale, dagli orari di visita, dalle speranze e dai dolori degli altri genitori che con Maria condividono quell’attesa per i loro figli.
C’è poi un tempo della vita al di fuori dell’ospedale dove Maria non trova più collocazione né forze nemmeno per prepararsi da mangiare. E’ questo un tempo scandito dalla vita in una Napoli degradata, dove le nuove costruzioni sanno già di vecchio ancora prima di essere terminate ed i cavalcavia sono buoni solo per buttarci di sotto vecchi frigoriferi e televisori. Una città che impone ai suoi abitanti di fermarsi alle necessità, andare a lavorare troppo giovani o vendere cocaina. Ma è il tempo di una città che concede ancora scorci di mare tra i palazzi, che donano respiro a Maria ad di fuori dell’attesa, un tempo nel quale c’è ancora spazio per un incontro amoroso, spazio per i propri alunni e spazio per registrare tutto ciò che era accaduto prima di Irene e ricollocare l’importanza alle cose che verranno.
"Lo spazio bianco" è un racconto che non lascia margine alla retorica né alla poesia; una narrazione che fa lo stesso rumore di un palmo aperto quando sbatte su di un tavolo per affermare una verità. Senza indulgenze né concessioni.
Non è stato, per me, un libro semplice: difficile per il suo linguaggio disarmante nel descrivere una realtà che ho avvertito troppo lontana dalla mia. La reazione a questo è stato un bisogno di distacco da quel panorama descritto e da coloro che lo abitano; un muro al di là del quale ho faticato a calarmici completamente perché l’atto di coraggio che riporta nella giusta prospettiva l’importanza delle cose è un atto di riconoscimento di un dolore esistenziale che travalica le certezze spicciole e spoglia le speranze dalle umane aspettative; uno spazio in cui un pò si nasce ed un pò si muore
Un libro che non chiede interpretazioni né buonismi ma solo tenacia nell’attesa di poter imprimere un proprio spazio bianco dal quale iniziare a descrivere un presente che è un presente nuovo, anche se nessuno ci ha mai insegnato che si poteva fare. Ma si può fare!
Un libro da leggere più e più volte.

Titolo: Lo Spazio Bianco
Autore: Valeria Parrella
Edizioni: Einaudi
Collana: Super ET
Anno di pubblicazione: 2008




lunedì 4 aprile 2016

Saper aspettare

"Non sono buona ad aspettare. Aspettare senza sapere è stata la più grande incapacità della mia vita.
Nell'attesa ho avuto lo spazio per costruire enormi impalcature di significato, e dieci minuti dopo farle crollare, per mia stessa mano. Poi riprendere da un punto qualunque, correggere il tiro di qualche centimetro per rendere la costruzione immaginata più solida. Vederla crollare di nuovo."
(...)
"Io non so aspettare e non voglio farlo, nell'attesa i mostri prendono forma e si ingigantiscono, mangiano le ore per crescere e mangiarmi. Non sento curiosità nel dubbio, né fascino nella speranza, fossi stata Eracle, non mi sarei fermata al bivio."

Lo spazio bianco - Valeria Parrella 

domenica 3 aprile 2016

Voglia di bianco



Mi piacciono le domeniche mattine di inizio primavera. La luce mi travolge ancor prima di aver capito che sono venuta al mondo ancora una volta. 
Preparare il caffè è una priorità ed assaporarne il primo sorso mi fa compiacere di un ritmo rallentato del quale so di poterne godere senza scadenze.
Oggi è uno di quei giorni anche se domani è un altro lunedì e la magia del risveglio non sarà di certo così travolgente come oggi; domani tutto prenderà un’accelerazione imposta e le tinte della giornata si faranno di certo più accese ed invadenti.
Ma oggi ho voglia di bianco: avrei voglia di ridipingere le pareti di casa mia di candore, indossarlo, annusarlo magari anche assaporarlo. E perché non leggerlo?!
Per cui mi metto in cerca d’ispirazione tra gli scaffali della mia libreria. 
Lì in mezzo le pulizie di primavera non sono ancora arrivate. Sto tergiversando e perdendo tempo. C’è confusione dovuta a nuovi arrivi inaspettati e poco tempo a disposizione per gli aggiustamenti del caso. Rimando perché so che quando inizio non posso non terminare ma so anche che iniziare vuol dire impiegare più tempo del preventivato. 
Mi metto il cuore in pace e rimando a data da destinarsi: oggi ho semplicemente voglia di bianco e di iniziare un nuovo libro.
Scorro le copertine bianche…tante, tantissime di libri acquistati e non ancora letti. Ma l’occhio mi cade inesorabilmente su tre predestinati:


“Bianco” di Marco Missiroli

 “Lo spazio bianco” di Valeria Parrella

“Purity” di Jonathan Franzen


Sarebbe ormai ora di pranzo ma vado a farmi un’altra tazza di caffè nero per schiarirmi le idee e poi decido!

Amo i libri perchè...

Amo i libri. 
Li amo per le loro consistenze così diverse: snelli o corpulenti che quasi ti fanno presagire le pieghe delle storie che raccontano. Mi lascio ammaliare da toni sfacciati di copertine sgargianti o dalle miti sfumature di quelle più timide. Ammetto di preferire le rigide alle flessibili: anche perché io, i libri, li porto ovunque soprattutto in borsa; e poi li sottolineo ed appunto dalle posizioni più improbabili, soprattutto da quelle orizzontali di letture notturne o domenicali sprofondate nel divano, ed allora ammetto che quelle rigide mi agevolano notevolmente nell’impresa.
Li amo tenere tra le mani, sfogliare e sistemare.
Ho scaffali in perenne movimento e più passano gli anni e più il numero aumenta e più questi movimenti diventano imprese titaniche da programmare con congruo anticipo, possibilmente nei periodi di ferie. E mi ritrovo alla fine delle ferie con libri ovunque che mi ci vorrebbero almeno altre due settimane, una per capirci qualcosa ed un’altra per riprendermi dalla fatica del trasloco.
Sistemarli per dimensione o per colore? C’è chi lo fa anche per autore.
Non credo di avere un criterio predefinito di collocazione: questo si adatta in modo armonico a seconda dei nuovi arrivati. Un po’ come quando arriva un ospite inaspettato a cena: un po’ ci si stringe, anche se non si riesce più a sgomitare o ad accavallare le gambe sotto il tavolo; in alcune cucine esistono meravigliosi tavoli che si allungano ed allora tutto diventa più comodo, ma la gioia di un ospite gradito è sempre fonte di sorrisi e motivo di brindisi. Così come quando è un nuovo libro ad arrivare: non sono ancora arrivata al punto di brindare ma di certo sorrido molto.
Credo di mostrare tutti i sintomi di una tossicodipendenza quando entro in libreria: vago per un tempo che a me sembra minimo ma che da occhiate eloquenti e sbuffi non troppo celati dei miei malaugurati accompagnatori, è sempre ben oltre il limite massimo di sopportazione di chi non presenta i miei stessi sintomi. Per cui in libreria preferisco andarci da sola e perdermi, faticando poi a trovare la via d’uscita. Ma quando ne esco con borse pesanti neanche fossero fatte di cemento armato, mi sembra quasi di respira per la prima volta ed il ritorno a casa è leggero e pieno d’entusiasmo nel pregustarmi la conoscenza con i nuovi arrivati.
Perché l’incontro con un nuovo libro è un po’ come un atto d’amore: ci sono i preliminari di uno sfogliamento lento e non troppo approfondito perché hai paura di anticipare i tempi e non vuoi rovinarti la sorpresa. Ma poi quando trovi il giusto incastro di tempo e posizioni, tutto scorre fluido fino a diventare un avvinghiamento quasi morboso. Anche quando inizi a presentare i primi sintomi di cedimento fisico sai di non poter perdere il ritmo perché senti di essere vicino al raggiungimento di quell’apice che svelerà il motivo del vostro incontro! E di questi momenti, spesso in un unico libro ce ne possono essere più di uno. C’è poi l’avvio alla conclusione come planare dolcemente su acque tranquille: tutto il fervore dell’incontro si placa i sensi si distendono e puoi finalmente assaporarti l’atto che è stato. Che non è sempre detto che sia un orgasmo di quelli da urlo, ma infondo alla fine poco importa: è stata comunque un’esperienza che valeva la pena di essere vissuta.
Io i miei partner li trovo a pelle, non solo perché mi piace sfiorarli, ma perché preferisco lasciarmi ispirare da ciò che hanno da suggerirmi:  che sia un titolo, una copertina o semplicemente una parola. In genere non prediligo le novità: troppe chiacchere e troppe aspettative. Preferisco lasciar decantare il loro momento di clamore, soprattutto se successi troppo annunciati, e poi avvicinarmi a loro quando le luci della ribalta si sono spente. Che se sono stelle la loro luce non si affievolisce solo perché è passato qualche mese dal loro debutto anzi, di solito un buon libro è come un buon vino: più invecchia meglio è.
Per quanto compulsiva nell’acquisto, non sono una lettrice particolarmente vorace. Per me la lettura è un atto che va dosato secondo l’umore ed il tempo, non solo quello cronologico, ma anche quello atmosferico e soprattutto emotivo. Mi piace che di ciò che leggo mi rimanga una traccia e col tempo ho capito che per questo è appunto il tempo che mi ci vuole. Anche se poi arrivano folgorazioni che mi brucio in una notte.
Ho liste interminabili di titoli che vorrei leggere ed anche senza queste ho già comunque più libri di quanti se ne possano leggere in una vita o forse due. Ma non me ne faccio un cruccio. Per me sono comunque un patrimonio prezioso coltivato con pazienza e rispetto che un giorno – spero più lontano possibile! – lascerò a chi so che li amerà come li amo io.    

sabato 2 aprile 2016

Alle Terme dell'Anima

"Vuole dirmi con parole sensate in quale incubo mi trovo?"

"Alle Terme dell'Anima, signore."
"Sono morto, dunque?"
"A me non risulta. Lei è ricoverato qui per ricominciare a vivere."

L'ultima riga delle favole - Massimo Gramellini 

Oggi

Non chiedetemi il perché ma oggi ricomincio da qui.
Sarà l'aprile appena iniziato, il profumo di primavera, nuovi sentieri che si intravedono...ma oggi semplicemente ricomincio da qui.
In questo “qui” si parlerà di parole, libri e qualche altra ispirazione che all’improvviso mi prenderà e mi porterà via.

Uno spazio in cui distendermi alla vita.