lunedì 20 giugno 2016

CENTO GIORNI DI FELICITA' di Fausto Brizzi


Se mancassero 100 giorni alla fine della nostra vita terrena, cosa faremmo?
Quello che in teoria dovremmo fare ogni giorno…vivere!
Ed è questo che tenta di fare Lucio Battistini, protagonista di “CENTO GIORNI DI FELICITA’” di Fausto Brizzi (Einaudi).
Lucio, un quarantenne mediamente soddisfatto della propria vita, la moglie Paola, i due figli Eva e Lorenzo, gli amici d’infanzia Umberto e Corrado; un lavoro che non lo entusiasma, una carriera da pallanuotista mancata, i soliti alti e bassi della vita di tutti i giorni che scorre inesorabile tra un morso ed un altro ad una ciambella per colazione. Fino a quando non bussa alla sua porta un amico inaspettato: l’amico Fritz, simpaticamente così soprannominato per sdrammatizzarne l’arrivo indesiderato. Una diagnosi irrevocabile, un tumore al fegato in stadio troppo avanzato e più o meno tre mesi di vita.
Inizia così per Lucio un conto alla rovescia che anziché alla morte sembra riportarlo alla vita.

“L’unico rimpianto è aver dovuto scoprire di morire per ricominciare a vivere.”

Il protagonista racconta in prima persona i suoi ultimi cento giorni di vita con un’ironia sorprendente e che non può che farlo sentire caro ma non commiserato. Perché lui ha fatto una scelta, la più definitiva e forse la prima consapevole di tutta la sua vita:  cercare di essere felice per il tempo che gli rimane, fare ciò che sa di non aver più tempo per fare. Lasciare un’eredità positiva alle persone a lui care: insegnare ai figli ad affrontare le loro paure, riconquistare la moglie tradita in un momento di cedimento, dimostrare ai suoi amici l’amore fraterno che li ha sempre uniti.


“CENTO GIORNI DI FELICITA’” è una storia che non suscita commiserazione né pena. Tutt’altro: è un inno alla vita ed alla sua pienezza, una pienezza che a volte già ci appartiene anche se difficilmente riconosciuta.
Un libro che apre la porta a tante domande, di quelle importanti e scomode, che sarebbe bene tenere vicine in ogni attimo di ogni giorno per ricordarci che ogni respiro è un dono ed un’occasione da non sprecare.
L’autore affronta con ironia - ma mai con superficialità - temi importanti, nodi che a volte non basta una vita per sciogliere ma che si può iniziare a fare da oggi, da questo momento con audacia coraggio e determinazione.

Un libro che è un monito per non dimenticare, per ricordare di condire la scivolosa vita di tutti i giorni con un pizzico di paura, non una paura immobilizzante ma quel tipo di paura che è un'emozione vitale: che mette all’erta, che acuisce i sensi e catalizza le azioni verso una direzione ben precisa. Un radar sempre puntato verso la ricerca di un benessere assolutamente personale ed unico, verso il quale tendere costantemente, e che ci aiuti a districare, cardare, separare e scegliere ciò che ci rende felici da ciò che è superfluo e che ci fa disperdere inutilmente energia.

“E’ un tormentone della mia nuova e breve vita, fare cose che non facevo da anni o che non avevo addirittura mai fatto. Finalmente un lato positivo.”

Fino ad un punto “zero” e ad un “dopo”, capolinea inevitabile al quale sappiamo di dover arrivare già nel momento stesso della nostra nascita. Ma non è tanto il “quando”, forse è il “come” possiamo e decidiamo di arrivare a quel punto: si spera senza rimpianti ma con l’emozione di un sorriso rivolto a ciò che è stato vissuto pienamente ogni giorno come un giorno speciale.

“Quanti sono i giorni che ricordate bene della vostra vita? 
Quelli speciali che potreste raccontare anche a tanti anni di distanza. 
E quanti sono invece quelli normali in cui non accade niente degno di nota e che scivolano via anonimi? (…) 
La domanda è: cosa rende un giorno speciale? E’ possibile organizzare a tavolino ventiquattr’ore talmente originali da guadagnarsi di diritto un posto nell’hit-parade dei momenti magici della tua vita?”

Titolo: Cento giorni di felicità
Autore: Fausto Brizzi
Editore: Einaudi
Anno di pubblicazione: 2013

venerdì 17 giugno 2016

La giusta via da solcare

Trovare la giusta via da solcare 
non è per niente un facile andare.
Anche se mi danno pillole e consigli
tutto ciò che c’è da imparare,
credo stia rinchiuso in un punto 
in mezzo ad i miei sopraccigli.

Che sia finzione o realtà 
ancora devo ben capirlo:
tutto questo al momento 
è solo un gran scompiglio.

Scrivo come se nessuno mi potesse udire, 
anche se la voce che lancio 
vorrebbe avere un certo ardire.
Per cui procedo nel mio volteggiare 
come se non avessi niente da fare.
Che poi alla fine forse è proprio così
in una sera come un’altra 
di questo venerdì.

Nonostante cerchi di negarlo, 
perché in fondo fa sempre bene farlo,
tutto quello che io sono
si racchiude semplicemente in un suono.

E se quel suono anche voi 
fate fatica a pronunciarlo,
non vi preoccupate, 
perché magari ci sarà qualcun altro
disposto ad ascoltarlo.


lunedì 13 giugno 2016

SEMBRAVA UNA FELICITA' di Jenny Offill


La prima cosa che mi viene da dire a mente ancora calda della lettura di “SEMBRAVA UNA FELICITA’” di Jenny Offill, edito da NN Editore,  è che l’autrice è stata geniale, coraggiosa ed assolutamente autentica: tutto questo nell’essere riuscita a trasformare la storia di una donna come tante in qualcosa di coinvolgente, intimo e con una carica esplosiva innescata pronta a detonare ad ogni paragrafo che compone questo suo secondo romanzo. Una miscela che ti fa divorare il libro tutto d’un fiato, riempiendo e togliendo in un’alternanza senza sosta di luci intermittenti che si accendono e si spengono tra i pensieri della protagonista.

Lei, la donna senza nome di “SEMBRAVA UNA FELICITA’”, è una di quelle donne che non avrebbe voluto sposarsi, sognava di diventare un “mostro d’arte”, di scrivere il suo secondo romanzo. Invece incontra un uomo: lui compone “paesaggi sonori”; lei che lo accompagna in giro per la città a registrare suoni. Si frequentano. Si sposano. La nascita della loro bambina e la fase della maternità: una nuova vita ed ancora inquietudine. L’abbandono definitivo della sue aspirazione di scrittrice ed il ritrovarsi a fare la “scrittrice fantasma” per un libro improbabile sulle missioni spaziali.
Il tradimento del marito con una donna più giovane. Il lasciarsi, la rabbia, la disillusione ed il senso di inadeguatezza. La contemplazione della possibilità di ricominciare, con lui, con il matrimonio, con la vita in generale.

“Il mio piano era non sposarmi mai. No, io volevo diventare un mostro d’arte. Le donne non diventano mai mostri d’arte, perché i veri mostri d’arte si preoccupano solo d’arte e mai di cose terrene.”


L’ennesima vicenda apparentemente banale che tra le dita della Offill ha preso invece una luce ed una consistenza innovativa ed inusuale, quasi rivoluzionaria direi. Abbandonata la struttura narrativa tradizionale, “SEMBRAVA UNA FELICITA’” procede per frammenti, spezzoni di pensieri che occupano poche righe e che tracciano il flusso dell’incedere mentale della donna; ne mappano le discese in picchiata verso vuoti di delusione e le lente risalite su per i tornanti della rinascita e del bisogno di ricominciare. Il tutto in una mescolanza mai casuale di annotazioni di pensieri, citazioni di scrittori e filosofi, frammenti di ricordi, dialoghi, di detti e non detti che creano una spirale discendente nell’intimità cerebrale della protagonista dove il suo essere viene svelato ma mai definito da parole che potrebbero risultare troppo limitanti.

La sua vita e le sue emozioni discordanti e contraddittorie, le sue immersioni e le sue risalite umorali vengono dipanate e svelate al ritmo del procedere di un drenaggio cerebrale riversato in istantanee di pensieri che compongono la narrazione.
Un equilibrio precario mantenuto in vita tra un senso di auto-ironia sdrammatizzante e tagliente, ed un ribollire emotivo interiore che non sembra mai riuscire a trovare una via d'uscita definitiva, una valvola dalla quale decomprimere tutto quel tumulto interiore se non sulla carta, tra le pagine del libro, tra gli spazi bianchi dei brevi periodi dove i pensieri defluiscono e poi di nuovo si immergono per cercare di tornare in superficie a respirare, a riprendere fiato e vita.

Lo sguardo è sempre rivolto verso l’interno per scavare, domandare, per cercare di districare quel nodo di ansie ed insicurezze; per cercare di alleviare quel senso di inadeguatezza che attanaglia la protagonista. Inadeguatezza come madre a confronto con tutte le altre madri super-organizzate e puntualissime; inadeguatezza come moglie, lei insicura, complicata, difficile a confronto con quel bravo-ragazzo di suo marito perfetto, preciso e che aggiusta sempre tutto senza mai lamentarsi.
Ma soprattutto inadeguatezza nel suo essere donna con tutto il suo carico di risentimento per le aspirazioni frustrate, i sogni mai realizzati ed abbandonati, per l’assolvimento del compito di madre e di moglie che a volte appare troppo ingestibile per la sua mente che corre veloce  all’impazzata tra il colore di un’emozione ed un’altra sempre a tinte troppo forti per essere gestite.

“Alcune donne lo fanno sembrare così facile, quel modo di scrollarsi l’ambizione di dosso come se fosse un cappotto costoso che non va più bene.”


Una scrittura che è essenziale e potente, levigata, raffinata, che compone tassello dopo tassello il mosaico dell’intimità personale e famigliare della protagonista, in una costante operazione quasi chirurgica diretta dalla Offill, di aggiunta e privazione, di vuoto e di pieno, di bianco e di nero, fino ad arrivare al nucleo della personale ricerca della felicità della protagonista che, inaspettatamente, dopo tanto cercare e domandarsi si manifesta come un pomeriggio di neve ed il mondo che appare di una bellezza sospesa. Una felicità precaria ma reale.
Assolutamente da leggere!

Titolo: Sembrava una felicità
Autore: Jenny Offill
Traduttore: Francesca Novajra
Editore: NNEditore
Anno di pubblicazione: 2015

venerdì 10 giugno 2016

Direzioni da declinare




Se non ci fossero più tragitti predigeriti 
ma solo linee e circonferenze
tracciate dalla casualità di salite e pendenze.

L'incedere del nostro procedere 
sarebbe forse più sorprendente
in una vita ancora tutta da declinare
senza limiti né scadenze?

lunedì 6 giugno 2016

I NOMI CHE DIAMO ALLE COSE di Beatrice Masini


Leggere “I NOMI CHE DIAMO ALLE COSE” di Beatrice Masini, edito da Bompiani, non era preventivato: si è infilato tra le ultime pagine di “MrsBridge” ed i nuovi propositi di lettura per il mese di giugno.
Ci siamo incontrati durante una delle mie ultime scorribande in libreria, armata di una lista già infinita di titoli ed ho tentato di resistergli ma la mia volontà davanti a certi ammiccamenti indecifrabili si dissolve come fumo al vento. La decisione è stata veloce e mi sono affidata a quel colpo di fulmine.
Quel giorno stesso abbiamo intrapreso la nostra relazione ed il perché di quella improvvisa attrazione mi è subito parsa palese.

E’ la storia di Anna, impiegata nel mondo dell’editoria, che per caso - ma forse non troppo - si ritrova del tutto inaspettatamente ad ereditare una casa cantoniera posata sulle rive del Lago di Garda, portineria di una tenuta ben più grande residenza di Iride Bandini, da poco scomparsa e conosciuta anni prima, famosa scrittrice di storie per bambini ma nella vita donna austera e scostante.
Anna conoscerà presto gli abitanti di quel luogo: un capomastro, l’ex segretaria della Bandini, suo figlio Gregorio, uno sceicco che sceicco non è, una coppia di contadini con due bambine. Ognuno di loro occupa un spazio preciso in quel luogo che sembra riportare le persone che lo abitano alla riscoperta di ciò che meglio sanno fare.
E così accadrà anche ad Anna: lei, l’estranea, che si è catapultata dalla città in quel paese, senza troppo pensarci perché “adesso sa, per averlo imparato, che spesso quando si desidera distrattamente qualcosa si finisce per ottenerlo senza sapere che farsene, o prima di”.


Anna osserva, ascolta i segreti e le storie dei suoi nuovi incontri; con il suo sguardo raccoglie e racconta, attribuendogli le giuste parole, l’essenzialità di quella nuova vita e dei nuovi personaggi che la popolano, ritornando poco a poco alle cose che contano ed ai gesti necessari per prendersene cura; ristabilisce e si ricollega ad un ordine naturale della vita senza più scadenze né alibi ma solo impegnata a viverla in una sequenza naturale di attimi vissuti e non solo pensati che le donano cura e conforto. E questo Anna potrà farlo perché ha un dono – già intravisto da Iride Bandini ai tempi del loro primo incontro - quello di saper ascoltare.

“Mettersi in ascolto è come vagare in un’immensa biblioteca a cielo aperto, e per forza ci vuole un tetto di niente, perché non ci sono limiti, non si possono chiudere in una stanza o in un palazzo le storie delle cose del mondo.”


Ciò che mi ha subito rapito di questo libro è stata proprio lei: la parola, la parola che quando usata con rispetto diventa strumento prezioso ed indispensabile per riconoscere e dare un nome alle cose, quelle cose che ci fanno sentire vivi e presenti in ogni attimo della nostra vita e delle quali è necessario prendersene cura con amore, così come sono, senza interpretazioni, né buone né cattive, né belle né brutte ma semplicemente nella loro pienezza

“Forse essere a casa è questo, non avere il bisogno e nemmeno la pretesa di vedere tutto bello. Guardare le cose come sono, vederle intere, senza offenderle.”

L’autrice usa un linguaggio che modella, come a togliere il superfluo da una creazione che poco a poco emerge davanti agli occhi e tra le mani di chi legge: le parole e la loro mescolanza diventano l’amalgama che rendono materici e percepibili dai sensi una storia che si svolge tra presente e flash back in un luogo che appare tanto reale quanto immerso in una dimensione di favola. Perché le favole ci sono e ci sono anche i bambini, ma ai bambini non si può mentire nemmeno quando gli si raccontano le favole: loro sanno, riportano con la semplicità del loro esserci ad una realtà primordiale, non superflua, dove la realtà fornisce gli strumenti per alimentare la fantasia, e diventano lo specchio del bisogno degli adulti di tornare ad una vita più semplice e possibile.

“Teniamoci caro l’impossibile che vogliamo più di ogni altra cosa, quello che ci fa sopportare il possibile.”

Tutto è descritto con cura ed esattezza, mai banale; le sfumature del cielo o le pieghe di un volto solcato da un emozione, tutto fluisce sulle pagine attraverso lo sguardo dell’autrice che tramuta in parole l’intensità dei paesaggi e dei sentimenti senza mai essere scontata, ma sorprendente nel modulare suoni - quelli che emettiamo nel pronunciare il nome delle cose - che diventano udibili non solo dalle orecchie ma da un vibrare in concerto di tutti sensi.


Un libro che mi sento caldamente di consigliare a chi ha voglia di riscoprire un linguaggio che crea e non solo descrive; per chi ha voglia di spogliarsi di un po’ di fardelli e mettersi in ascolto di quelle parole che ci parlano di verità. 

Titolo: I nomi che diamo alle cose
Autore: Beatrice Masini
Edizioni: Bompiani
Anno di pubblicazione: 2016

mercoledì 1 giugno 2016

A giugno si legge di Felicità!

Nuovo mese, nuovi propositi di lettura!
Un po’ per gioco, un po’ perché mi conosco e so che la mia svogliatezza - soprattutto in questo periodo dell’anno - mi fa perdere fra le traiettorie di nuvole passeggere e voli di rondini, a maggio ho provato a darmi un piccolo obiettivo di lettura: decidere 3 titoli da leggere nell’arco del mese che avessero una sorta di filo comune. 
L’esperimento è riuscito nonostante la mia perenne sonnolenza primaverile e così ho deciso di riprovarci anche a giugno – e spero anche per i mesi futuri - con nuove storie ed un nuovo denominatore comune che ovviamente cambia a seconda del mio umore altalenante, condizioni atmosferiche e mille altre deviazioni di fantasia e non.  

Per il mese di maggio la scelta era caduta su storie che avessero come protagoniste figure di donne: un po’ per caso, perché erano libri ai quali facevo il filo già da un po’ e poi perché maggio è il mese in cui si festeggia la mamma che istintivamente ricollego a tutte le donne, che siano realmente madri con pargoletti al seguito o semplicemente creatrici ogni giorno della propria di vita.
Donne molto diverse tra loro per storia personale e contesto storico eppure così simili tra le pieghe delle loro anime dove si incastrano quelle domande tanto difficili da risolvere e che portano a scavare e scavare alla ricerca di un senso di esistenza più pieno ed appagante.
Queste sono state le protagoniste in ordine di apparizione:
- Laure con la sua borsa perduta in “La donna dal taccuino rosso” di Antoine Laurain (Einaudi);
- Noga, arpista israeliana, protagonista in “La comparsa” di Abraham B. Yehoshua (Einaudi);
- India Bridge, impeccabile nelle sue buone maniere di un tempo lontano, in “Mrs Bridge”di Evan S. Connell (Einaudi).


Questo mese il filo conduttore cambia. La parola d’ordine che accomuna i titoli scelti è: Felicità!
Argomentone non semplice, con un vasto, vastissimo raggio d’azione e di letteratura. Così per semplificarmi la vita e la scelta, il criterio di selezione, lo ammetto, è stato alquanto banale: tutti libri che contenessero nel titolo la parola “felicità”.
E così i prescelti per questo mese di giugno sono:
“Sembrava una felicità” di Jenny Offill (NN Editore);
“Cento giorni di felicità” di Fausto Brizzi (Einaudi);
“Una specie di felicità” di Francesco Carofiglio (Edizioni Piemme)


Ovviamente questo giochino, che di sicuro farà rabbrividire chi i libri da leggere li seleziona accuratamente con cognizione di causa e competenza della quale al momento me ne sento priva, è aperto alla partecipazione di tutti quelli che, come me, amano leggere ma si perdono un po’ nelle strade intricate delle buone intenzioni ed ogni tanto hanno bisogno di un dolcetto come ricompensa che l’attenda al traguardo della fine lettura (più altri svariati in corso d’opera!).
Non essendo molto pratica nella preparazione di dolci, vi preannuncio che è meglio non sia io a preparare la vostra ricompensa che in ogni caso, in mancanza di pasticceri e gelatai esperti, sarà il gusto ed il piacere di aver letto un buon libro e l’aver mantenuto fede al proprio proposito.

Per cui se vi va di partecipare perchè anche voi vi sentite un pò lettori "sfogliati" come le pagine di un libro dal vento delle distrazioni che soffia impietoso e quotidiano, l'idea sarebbe quella di creare un piccolo convivio all’interno del quale scambiarci qualche incoraggiamento e pacca sulla spalla ai primi segnali di cedimento e rallentamenti sulla tabella di marcia ma soprattutto la bellezza e spunti creativi che questi libri sapranno offrire.
Comunque non temete perché nel caso infausto mi lasciaste da sola anche per questo mese, non mancherò di tenervi aggiornati soprattutto del numero di dolci-ricompense che mi sarò concessa in corso di lettura. Se invece risponderete con entusiasmo a questa chiamata alla lettura, sappiate che siete i benvenuti e non esitate a scrivermi o contattarmi per aggiornarmi.

A presto e buon inizio di giugno a tutti!

Chiara

venerdì 27 maggio 2016

La Valigia dei Sogni

C’è un kit di sopravvivenza che tengo sempre a portata di mano e che tiro fuori all’occorrenza in quei momenti in cui mi accorgo che è da troppo che non rido, che è da troppo che non scrivo e che non faccio un po’ di sana magia per condire con un pizzico d’ironia il polpettone indigesto della vita di tutti i giorni. 
Quando ho voglia di giocare, di colore e brillantini, quando ho voglia di creare, di sognare e di chiedere “come sta” a quella bimba spiritosa che mi abita nella pancia, tiro fuori lei…la mia Valigia dei Sogni!


Ammetto che il giorno che la comprai – non troppo tempo fa! – non ebbi il coraggio di dire la verità alla negoziante che me la vendette quando, guardandomi sorridendo con occhio lesto e di chi ha già capito, mi chiese: “Se vuoi posso farti un pacco regalo. Per un maschietto o una femminuccia?”
Mi feci piccola e vergognosa ma con tono soddisfatto “per una femminuccia” le risposi. Che poi femminuccia non credo di esserlo mai stata nemmeno a sei anni ma in quel momento la “uccia” che era in me, godeva di giubilo come non mai.


Dicono che i sogni a volte si chiudano in un cassetto; c’è chi li insegue e chi li costruisce. C’è stato un tempo, non troppo lontano in cui credevo di averli dimenticati. Proprio loro, i miei sogni: quel carburante ecologico, non inquinante ed altamente vitale che fornisce il propellente necessario per districarsi tra i rovi della vita.
Disorientata, non ricordavo più se non li avessi mai avuti o se inavvertitamente avessi lasciato aperto il cassetto del mio comodino e che fossero volati via silenziosi e tristi perché non mi ero accorta della loro mancanza. Non riuscivo a ricordarmi di loro, dei loro lineamenti, dei voli di fantasia e dei sussurri al cuore che sorprendono inaspettati; dell'innamoramento veloce quando li si incontra per la prima volta e delle promesse segrete di coltivarli forti e liberi. 
Mi sono incolpata, agitata, afflitta ed alla fine armata di santa pazienza li ho cercarti  nella foresta della mia dimenticanza.
 E’ quando ho deciso di richiamarli a me, promettendo loro che me ne sarei presa cura e che avrei trovato un luogo accogliente in cui riporli ma senza più dimenticarli, ho trovato lei…il luogo perfetto per averli sempre a portata di azione.


Forse non sono esattamente quelli che credevo di aver perduto; forse anche loro, come me, non portano più grembiule rosa e codini, credono di essere un po’ più saggi e responsabili; magari non veleggiano più sull’onda di giovani pensieri irruenti e gagliardi ma di certo oggi hanno trovato la loro giusta collocazione. 
Ci teniamo per mano e ci guardiamo sorridendo; camminiamo fianco a fianco e passo dopo passo verso mete che mi fanno assaporare la vita in ogni suo attimo, proseguiamo imperterriti, ricordandomi sempre che ogni sorriso è un dono prezioso, ogni sguardo, ogni tramonto, ogni ritorno a casa da chi amo è un sogno che si realizza.

E voi l’avete un nido speciale dove coccolare i vostri sogni? Raccontatemelo se vi va.

Buon venerdì di sogni, fantasia e tanta tanta tenacia!
Chiara

mercoledì 25 maggio 2016

MRS BRIDGE di Evan S. Connell


Mrs Bridge è una donna d’altri tempi. Tempi con usanze improponibili per una donna dei giorni nostri. Eppure il sottofondo d’insoddisfazione che contraddistingue l’avanzare della sua esistenza è lo stesso che appartiene anche a tante donne di oggi.
Scritto nel 1959, “MRS BRIDGE” di Evan S. Connell è un romanzo equilibrato ed intenso, lucido ed emotivo, così come la protagonista che viene raccontata da brevi aneddoti che ne descrivono le abitudini e la storia di una vita composta e vissuta secondo le regole stabilite dalla società.
Sullo sfondo gli albori della seconda guerra mondiale, eventi storici e politici appena accennati e che semplicemente contestualizzano la figura di una donna della upper class americana che sembra meno scalfita da ciò che avviene nel mondo di quanto non riescano a farlo le relazioni con la sua famiglia e con il suo senso di esistenza. 
Un’esistenza apparentemente perfetta, scandita dalle buone maniere apprese dai suoi genitori e che tenta di tramandare ai suoi tre figli così diversi gli uni dagli altri e in assoluto diversi da lei. 
Un marito con un’affermata carriera di avvocato, i pranzi al Country Club, la bella casa nel quartiere di Kansas City, gli incontri con le altre signore bene; la domenica in chiesa, i party di una classe luccicante e manierata che fanno dell’apparenza uno stile di vita che però non soddisfa Mrs Bridge.
Con l’avanzare del tempo, i figli che crescono e si allontanano, un marito sempre più impegnato nel lavoro e meno presente alla sua “sposa”, le domande che affiorano alla mente di India Bridge, suscitano irrequietezza e le sussurrano all’orecchio domande inaspettate: che sia tutto qui il senso della vita? Dietro a pellicce e gioielli, alla guida di grandi macchine, nell’avere una cameriera ed un autista, una casa perfetta? E’ possibile avere tutto e non sentirsi felici?
Soffi di agitazione che arrivano dal profondo del suo essere e che la sorprendono all’improvviso in momenti inaspettati: al fragore di un tuono che annuncia un temporale, nell’osservare il marito per il quale amarla è diventata un’abitudine appresa, nello specchiarsi e non riconoscersi sempre più ingrigita e lenta nel suo sfumarsi insieme allo sfumarsi del tempo.




“Passava molto tempo a fissare il vuoto, oppressa da un senso di attesa. 
Ma attesa di che cosa? Non lo sapeva. Prima o poi qualcuno l’avrebbe cercata, avrebbe avuto bisogno di lei, ne era certa. Eppure i giorni passavano tutti uguali. Non accadeva mai niente di intenso, di estremo. Il tempo non scorreva. 
(…) 
Così le accadeva di tanto in tanto di intrattenere pensieri profondi, che scavavano e scavavano alla ricerca del senso ultimo, di una vita più immutabile di quella da lei stessa trasmessa ai figli mettendoli al mondo.”



India Bridge è una donna controllata, abituata a non scomporsi mai anche davanti al mutare dei tempi e delle abitudini delle persone che le ruotano intorno e che sembrano satelliti in grado di percorrere orbite lontane anni luce dalla sua. 
Tutto sembra evolversi al di fuori del suo mondo dorato: lei incapace di scomporsi anche davanti a persone e situazioni che non comprende o che le suscitano disgusto ed imbarazzo. Il suo sorriso e le sue maniere cortesi sono la corazza che frappone tra se ed il resto del mondo, così come le ha apprese, così come la fanno sentire al sicuro e mai fuori posto se non quando si trova sola con la sua anima.
Ma dall’interno di quel guscio d’apparenza battono domande alle quali sembra impreparata nel trovare risposte. Un senso di inadeguatezza e di inutilità si fa strada; la sensazione di essere solo affacciata al balcone della sua vita senza avere il coraggio di spiccare il volo verso un’esistenza viva e piena; il senso di attesa di qualcosa che deve ancora iniziare, di una vita ancora da vivere, la attanaglia e la sorprende lasciandola paralizzata e priva di reazioni se non quella di sorridere e proseguire così come è sempre stata educata a fare: con controllo, cortesia e gentilezza.
Mrs Bridge è un romanzo che parla di silenzi e fragilità, di gridi d’aiuto inudibili ed impronunciati, di sete di vita mai placata, di una tristezza soffocata ed inammissibile per una donna ormai stanca che si lascia scivolare verso la conclusione della propria storia.

Titolo: Mrs Bridge
Autore: Evan S. Connell
Edizioni: Einaudi
Anno di pubblicazione: 2016



  


sabato 21 maggio 2016

Dalla finestra di casa mia


Buone notizie oggi: il sole splende sul mio lembo di mare ed aumenta esponenzialmente la voglia di vestiti leggeri e di far entrare aria nuova. Così oggi vi apro una delle finestre di casa mia e per chi non avesse ancora ben capito l’interno di quale mondo sta guardando vi racconto un po’ a che civico abita ChiaraEffe.
Sì, perché nella realtà - e per fortuna! - anch’io vivo in una casa, una di quelle fatte di mattoni, porte e finestre tutte al posto giusto ma in questo mondo virtuale vorrei che casa mia diventasse un po’ anche la vostra. 

Nella mia visione più ampia, questo spazio/blog nasce dalla voglia di condividere sguardi ed allungare il binocolo su nuovi orizzonti; dalla voglia di lasciarmi stupire da mondi fantastici e persone reali; partire da una strada conosciuta per incrociarne di nuove.
Credo nella forza della collaborazione e nella differenziazione dei messaggi; nei codici espressivi personali portati alla luce con fatica ed impegno, ma credo anche nella contaminazione delle idee, alla possibilità di dar vita a nuovi percorsi ed imprimere nuovi passi.
Mi piacciono le variabili che partoriscono connessioni inaspettate e le sfumature interessanti; gli incontri che innescano nuove sinergie.
Mi piace la creatività che aggiunge colore alla vita di chi la pratica; l’unicità nonostante la differenza delle modalità espressive che ognuno predilige.
Mi piacciono le valige piene di sogni ed assistere alle esperienze di persone reali, vitali, in cammino verso i propri traguardi, a braccetto con la propria creatività.  


Una visione sterminata, magari un po’ vaga e di certo molto ambiziosa, direte voi! Ma credo che l’ambizione non sia sempre un accento negativo; che se collocata nella giusta prospettiva e dosata quanto basta possa essere invece un carburante molto potente per intraprendere la direzione desiderata o quanto meno per partire. Magari all’inizio il tubo di scarico è un po’ intasato, c’è qualche scossone da sopportare, mappe difficili da interpretare, ma una volta che si è partiti non rimane che mettersi il cuore in pace e gustarsi l’avventura.

Sono una curiosa cronica - a volte anche un po’ fastidiosa per questo – ma la mia curiosità mi ha portato ad indagare su come poter intraprendere questo viaggio. E così sono approdata al mio piccolo punto di partenza, quello dal quale spiccare il salto.
Ed il punto di partenza sono stati proprio i libri, mia passione da sempre e negli ultimi anni – ad essere sincera - un po’ impolverata. Sì, perché un altro di quei miei tanto grandi sogni è proprio quello di aprire una piccola libreria: uno spazio dall’atmosfera calda ed accogliente, dove si possa ritrovare del tempo per le buone parole, che sia un luogo reale di incontro e di scambio, fucina di nuovi progetti e scintille creative; una bottega vecchio stampo dove gli artigiani sono coloro che vi entrano portando i propri attrezzi del mestieri, e vi si soffermano desiderosi di scoprirne di nuovi.


Per me leggere un libro è come un viaggio: c’è l’entusiasmo della partenza, la navigazione a volte lenta, alla deriva, a volte rapida che nemmeno mi accorgo di essere già a destinazione. I libri possono travolgermi come emozionanti mari in tempesta o accompagnarmi con dolci sciabordii di onde; posso arrivare lontano o circumnavigare terre conosciute. E poi c’è l’approdo: poggiare i piedi sulla terra ferma del finale per capire se quel viaggio mi ha arricchito di nuovi orizzonti oppure semplicemente è volato via senza riuscire ad acchiapparne nemmeno un dettaglio.
I libri donano appigli e paracaduti, sono trampolini di lancio e piste d’atterraggio verso la creazione di nuove visione e possibilità; lenti d’ingrandimento che mi fanno soffermare su particolari sottovalutati, trascurati e a volte volontariamente evitati; dispensatori appassionati di nuove prospettive e nuovi inviti all’azione.

Questa è l’intenzione fondante di questo spazio. I libri ci sono – ed è solo il punto di partenza. Mi piacerebbe tanto che il "libro bianco" di questo blog diventasse uno spazio aperto sul quale tutti possano sentirsi liberi di scrivere, disegnare, imprimere orme e lasciare tracce di sé; condividere opinioni, offrire suggerimenti ed illustrare le proprie scelte.
Questa casa è aperta all’incontro dei gusti più variegati ed alle declinazioni più variopinte dei nostri mondi. 
E chissà che dall’incontro di questi, si possano creare nuovi mondi possibili.

Vi auguri un dolce e soleggiato week end!

A presto!
Chiara

lunedì 16 maggio 2016

LA COMPARSA di Abraham B. Yehoshua



Sicuramente non è il modo migliore per iniziare un nuovo post ma metto le mani avanti e scrivo oggi di questo libro da poco finito di leggere con una preventiva sensazione che non riuscirò completamente a rendere a parole l’eco della melodia che mi ha fatto vibrare dentro. Proprio come se, mentre leggevo, ci fosse stato qualcuno che mi pizzicava le corde più intime, quelle che producono un suono che a sua volta genera una vibrazione che è più una sensazione fisica che mentale e per questo la parola indugia su concetti che aprono porte ed interrogativi, che generano a loro volta domande e fanno filtrare venti che suggeriscono risposte che arrivano da lontano, ma delle quali non si distinguono nitidamente pronuncia e significato.
A pizzicarmi queste corde è stata proprio la protagonista del romanzo “LA COMPARSA” di  Abraham B. Yehoshua, edito da Einaudi.
Lei è Noga: suonatrice di arpa, poco più che quarantenne, israeliana di origine, che dall’Olanda, paese in cui vive e lavora presso un’orchestra, deve tornare per tre mesi a Gerusalemme, sua città natale, per occupare il vecchio appartamento della madre la quale sta trascorrendo un “periodo di prova” in una casa di riposo a Tel Aviv. 
A desiderare fortemente il trasferimento della madre nella casa di riposo è Honi, fratello minore di Noga, apprensivo, instancabile lavoratore e diligente padre di famiglia, affezionato alla sorella ma alla quale non risparmia di sottolineare la lontananza che lei ha messo tra loro, la sua famiglia, il suo paese e la sua nuova vita nel tentativo di dar spazio e voce alla sua vocazione di arpista.
Durante questo “forzato” soggiorno israeliano, Noga, si ritrova a fare la comparsa non solo nella sua città natale ormai molto cambiata da quando è partita, ma anche in film e sceneggiati, per mantenersi e non gravare sulle finanze della madre e del fratello.
A Gerusalemme Noga incontra il suo ex marito che l’ha lasciata proprio perché lei non voleva avere figli. Avranno modo ancora una volta - una delle tante - di affrontare l’argomento della loro rottura; di difendere, una le ragioni della propria musica e del proprio sogno; l’altro, il desiderio di avere un figlio che fosse in qualche modo il portatore di anche solo un dettaglio di quella donna che tanto amava e che invece aveva deciso di non essere “fagocitata” dall’amore di un uomo che sopportava la sua arpa ma che non sapeva udire profondamente il significato delle sue note.


La figura di Noga è una figura complessa e sfaccettata, forte e fragile: sensuale agli occhi di chi la guarda ma a disagio nel rapporto col suo corpo che sta cambiando. 
E’ una donna ironica e tormentata allo stesso tempo, protagonista nella sua decisione di non rinunciare alla sua musica ed allo stesso tempo comparsa nella sua città e nella vita delle persone a lei care che accondiscendono la sua decisione ma che la tengono legata ad un filo di rimorso per aver messo così tanta distanza tra loro.
E’ una donna intuitiva: lei sa, che nonostante molti le insinuino il dubbio che non abbia figli perché non può averne, la sua è una decisione voluta e non casuale e della quale solo alla fine del libro ne avrà conferma.
“LA COMPARSA” è un romanzo che parla di donne e le cui parole filtrano tra le pieghe della loro complessa psicologia. Tra i dubbi che sorgono dalla fatica di prendere decisioni importanti e non condivise, nasce la forza e la consapevolezza, da rinnovare ogni giorno e ad ogni passo, di poter essere creatrici della propria vita che non necessariamente è sinonimo dell’essere procreatrici di vita. Dalla scelta fortemente voluta e rinnovata tra incertezze, dubbi e paure, di non voler essere più comparsa ma protagonista della propria storia nasce il faticoso quanto inaspettato ricongiungimento con la propria natura che è diversa da quella di chiunque altro, a volte anche da quella delle persone a noi più care.
Terrò stretta l’immagine di questa donna a volte emotivamente contraddittoria ed apparentemente inadeguata ma decisa e temeraria nel rispettare la propria vocazione, perché quando si arriva alla consapevolezza che ciò che ci fa sentire completi ed appagati non sempre coincide con le aspettative che altri hanno per noi allora possiamo veramente essere liberi di vivere la nostra vita.

Titolo: La comparsa
Autore: Abraham B. Yehoshua
Edizioni: Einaudi
Anno di pubblicazione: 2015

venerdì 6 maggio 2016

LA DONNA DAL TACCUINO ROSSO di Antoine Laurain




Erano mesi che girano attorno a questo libriccino: sarà stato lo sguardo curioso della donna in copertina, l’annuncio della presenza di un taccuino – per giunta del mio colore preferito – che quando finalmente mi sono decisa ad intraprenderne la lettura me lo sono divorato in poche ore.
“LA DONNA DAL TACCUINO ROSSO” di Antoine Laurain, edito da Einaudi, sarebbe la partitura perfetta per una commedia sentimentale ambientata, guarda caso, nella città romantica per eccellenza, Parigi.
E’ la storia di Laurent e Laure le cui vite si svolgono, l’uno ignaro dell’esistenza dell’altra, all’interno della stessa città fino a quando una malaugurata sera Laure viene aggredita e scippata della sua borsa. Il giorno seguente sarà proprio Laurent, libraio di quartiere,  a ritrovarla casualmente abbandonata su un bidone dei rifiuti. 
Troppo bella per essere stata gettata via, Laurent decide di tenerla e dal gesto ovvio di aprirla per cercare documenti e cellulare, scoprirà una serie di oggetti personali appartenenti alla sconosciuta e dalla quale far partire la sua indagine per ritrovarla: un taccuino di colore rosso pieno di annotazioni personali, una penna a sfera Montblanc, un paio di dadi, tre sassolini, un fermaglio con un fiore di stoffa azzurra, la ricevuta di una lavanderia, un romanzo di Patrick Modiano con dedica.
La storia procede così su due binari paralleli: la ricerca di Laurent che oggetto dopo oggetto tenta di risalire all’identità della donna della quale conosce i pensieri più intimi ma che ancora non ha nome né volto; quella di Laure, immobile ed ignara delle sorti della sua borsa, e che ancora non sa di essere diventata il pensiero centrale di un uomo che non conosce.
La storia si dipana veloce, una trama apparentemente semplice dove i personaggi si muovono con leggerezza ed ironia; sullo sfondo le vie di Parigi e dei suoi arrondissement piene di bar, bistrot e librerie; una narrazione delicata ed al tempo stesso una piccola miniera di citazioni, titoli, scrittori e poeti del passato e contemporanei da annotare, cercare e soprattutto leggere.
Mentre Laurent apriva quella borsa color malva ed uno ad uno estraeva con cura gli oggetti narranti di una vita a lui sconosciuta, io facevo altrettanto con la mia di borsa ed estraevo il suo contenuto assaporando il gusto del ricordo che ogni singola cosa porta con sé. 
Perché c’è un significato in ciò che possediamo che va oltre la semplice materialità del suo essere tra le nostre mani: il divenire delle cose nel corso del tempo, come segnalibri di episodi significativi e caratterizzanti da tenere stretti nella speranza di non dimenticare attimi fugali e veloci che il tempo sbiadisce troppo in fretta. 
Mi sono interrogata sul loro significato arricchito dai miei ricordi, su ciò che voglio continuare a portare con me nel mio personale viaggio attraverso la vita, su ciò che mi sopravviverà e sul significato che gli sarà attribuito da chi dopo di me sfiorerà quelle stesse cose; sull’incalzare del tempo ed il senso del tramandare l’importanza di qualcosa che rappresenta molto di più dell’essere un semplice oggetto. 
Mi è rimasto tra le mani il sapore di un senso di nostalgia ed anche la voglia di prendermi cura di tutto quello che per me rappresenta “l’importante” che non è detto che siano sempre persone ma che può essere semplicemente un taccuino rosso.

Titolo: La donna dal taccuino rosso
Autore: Antoine Laurain
Edizioni: Einaudi
Collana: Super ET
Anno di pubblicazione: 2015

martedì 3 maggio 2016

Atti di ordinaria magia

Stellina birichina
Martedì 3 maggio, un giorno come un altro ed è così che vorrei...

Udire uno sguardo ed annusare parole,
intrecciare i capelli con raggi di sole.

Giocare a nascondino con l'ombra del vento,
raccontare agli alberi di ciò che sento.

Cucire amori a perdi fiato,
farmi il nido in un giardino incantato.

Ridere a viva pelle,
tuffarmi nel cielo per acchiappare le stelle.

Accendere scintille bordate di fantasia
innaffiare i miei sogni di colorata follia.

Un pò di magia al giorno toglie il grigiore di torno!
Buon martedì 
Chiara

giovedì 28 aprile 2016

PER DIECI MINUTI di Chiara Gamberale



La protagonista di “PER DIECI MINUTI” è Chiara; Chiara sono io e Chiara è l’autrice. La prima è una scrittrice, io non lo sono – e di questo ne sono certa! – la terza è l’autrice e di certo è un’ottima giovane scrittrice. Pubblicato nel 2013 da Feltrinelli, l’ho letto d’un fiato durante uno degli ultimi week end piovosi e leggerlo è stata letteralmente un’esplosione di vitali scintille colorate.

“Le va di fare un gioco?”.
“Per un mese a partire da subito, per dieci minuti al giorno, faccia una cosa che non ha mai fatto.”

E’ la dottoressa T., l’analista di Chiara, a suggerirle questa sferzata di novità in una vita apparentemente senza più significato, fatta a pezzi dall’abbandono del marito, dalla chiusura della rubrica per cui scriveva, dal doversi abituare ad una nuova casa in una città che non sente famigliare. Tutti perni intorno ai quali far ruotare la propria vita, tutti punti d’appoggio con la lettera maiuscola: Mio Marito, la Mia Rubrica, la Mia Casa.
Ma basta un attimo – anzi, forse bastano dieci minuti al giorno – per rendersi conto che gli schemi emotivi e mentali che ci fanno sentire protetti, che definiscono i confini delle bolle in cui viviamo sottovuoto, non sono altro che limiti. Limiti a volte tracciati da persone che a modo loro ci amano: come il marito di Chiara che la vede ancora come quella diciottenne dalle lunghe trecce conosciuta all’ultimo anno del liceo, spaventata e bisognosa di lui per affrontare la vita; come la madre di Chiara che a colpi di zucchine e melanzane grigliate l’ha sempre protetta da quelli che secondo lei erano i veri colpi della vita al di fuori di quell’angolo di orto nella loro casa di campagna a Vicarello alle porte di Roma. Limiti all’interno dei quali ci piace scivolare dentro, protetti da un’abitudine routinaria che crea dipendenza e torpore finché un bel giorno la bolla esplode perché nostro marito ci lascia o perché rimaniamo senza lavoro o lontani dalla casa nella quale siamo cresciuti; ed allora quei limiti appaiono per ciò che sono, semplicemente occasioni mancate travestite da protezioni.

“Quando fanno qualcosa per noi, gli altri ci consegnano o in realtà ci tolgono un’occasione?”

Ma la possibilità che Chiara si concede di vivere quei dieci minuti, scatenano un effetto domino inaspettato, ”come se accendessero una qualche corrente”, come se trasmettessero a quello che viene dopo una specie di possibilità. Quei dieci minuti la conducono come le briciole lasciate da Pollicino, a riscoprire ritmi e volti inediti, passando dal farsi laccare le unghie di un colore improbabile, al camminare all’indietro per le strade di Roma, dal cucina pancake, al ballare l’hip hop. A percorrere tragitti alternativi, fino ad arrivare ad un luogo sconosciuto…alla sua persona, al riconoscersi viva anche senza quel marito, quella rubrica, quel paese dove è cresciuta, a riappropriarsi del suo tempo e delle sue scelte. A rendersi conto della propria esistenza e di quella degli altri, ad aprire gli occhi non solo per guardare ma per vedere i luoghi di quella città giudicata tanto ostile e che ora si anima di persone non più invisibili ma fatalmente umane ed uniche ognuna nella propria esistenza.

“Evidentemente i posti, proprio come le persone, si accendono e rivelano di essere al mondo non solo perché c’è spazio, ma perché hanno un senso, solo quando siamo disponibili a capirlo.”

Quella manciata di minuti soffia un’aria nuova nella vita di Chiara, le dona sorrisi inspiegabili, la porta minuto dopo minuto a compiere azioni sempre più sorprendenti e ad affondare le mani nella terra così come nella propria vita, ad avere fiducia nelle possibilità che portano le scelte ancora da compiere, ad avere più aderenza con la vita reale, quella scandita da un tempo che non è più qualcosa di ostinatamente vuoto ma che diventa una possibilità per tornare a vivere.
Perché forse i sogni, quelli grandi, quelli che pensiamo che se saremo coraggiosi abbastanza da provare a realizzarli ci cambieranno la vita, stanno proprio dietro a quei brevi e stupefacenti dieci minuti; perché forse quei improbabili dieci minuti sono proprio la chiave d’accesso alla vita, a quella famigerata vita che vorremmo e che ci aspetta se solo ci concedessimo l’opportunità di spolverare le lenti degli abitudinari “dovrei”, “potrei”, “mi piacerebbe ma non posso”…o forse semplicemente non voglio!

“Perché nelle infinite semplificazioni con cui crediamo di metterci in salvo e dentro cui invece ci perdiamo, c’è una cosa, una soltanto, che non può venirci dietro, che non possiamo ingannare.
Questa cosa è il tempo.
Che qualcosa di pochissimo, se siamo felici.
E’ qualcosa di tantissimo, se siamo disperati.
Comunque sta lì.
Con una lunga, estenuante, miracolosa serie di dieci minuti a disposizione.”

Un diario di bordo, asciutto nel dipanarsi delle sue tappe lungo un mese di tempo; una navigazione negli incontri della vita di tutti i giorni che nella sua naturalezza e spontaneità fa sorridere e ci rende partecipi di quei dieci minuti di Chiara, che infondo sono un po’ i dieci minuti di tutti, nella speranza di planare verso una fase della vita sempre più vitale e giocosa, verso una fase della vita in cui riscoprire il coraggio di stupirsi delle piccole cose; che la vita può cambiare anche in meglio, che dietro ad ogni incontro e ad ogni porta che si apre c’è una bellezza ancora tutta da scoprire.

Vi auguro una buona giornata e intanto – se potete – prendetevi dieci minuti! 

Titolo: Per dieci minuti
Autore: Chiara Gamberale
Edizioni: Feltrinelli
Anno di pubblicazione: 2013